Nuova Via della Seta: un’autostrada verso il ‘Secolo cinese’?

Il nome è di quelli da leggenda. Impossibile non legarlo” alle gesta di Marco Polo, alle carovane che si snodano lungo l’immensità delle pianure e dei rilievi asiatici, ai broccati e alle spezie che raccontano di mondi lontani e affascinanti. La vecchia “Via della Seta” si estendeva per circa 8 mila chilometri ed era costituita da una serie di itinerari terrestri, marittimi e fluviali attraverso il quale, i due grandi imperi dell’Antichità (il “Celeste Impero” e quello romano) facevano affari e “conversavano”. Una sorta di prova generale di “globalizzazione” in un mondo che correva ancora sul dorso dei cavalli o degli asini. Ora che il mondo corre alla velocità dei bit la “Via della seta” torna al centro del dibattito e il progetto potrebbe sancire, per molti, il cambio dell’assetto geopolitico ed economico che ci caratterizza dal secondo dopoguerra.

La nuova “Via della seta”: quando nasce e cosa è

Il progetto è stato annunciato, per la prima volta dal presidente cinese Xi Jinping  nel 2013. La nuova “Via della seta”(in inglese Belt and Road Initiative) si è rivelato, fin dalle prime battute, come il cuore della strategia cinese per il XXI secolo. In parole povere, è una serie di vie di comunicazione e infrastrutture destinate a connettere la Cina e l’Asia, all’Europa (e all’Africa), intensificando relazioni commerciali e culturali. Un progetto ambizioso che dovrebbe, nell’ottica cinese, coinvolgere 68 nazioni, ovvero il 65% della popolazione e ben il 40% del Pil Mondiale e spostare l’asse dell’economia mondiale a est. Si compone di una parte terrestre, basata su una serie di “corridoi” basati su infrastrutture chiave come autostrade, stazioni e ferrovie e di una parte “marittima”, basata sullo sfruttamento dei porti e dei collegamenti via mare. In Italia, ad esempio, i porti più ambiti dai cinesi sono quelli di Genova e Trieste. Ma non solo. Una parte della “Nuova Via della Seta” dovrebbe riguardare anche lo sfruttamento dell’Artico in accordo con le autorità russe.

Le accuse di neocolonialismo e il “pericolo” di una nuova egemonia geopolitica

Il progetto è ritenuto fondamentale per la Cina del nuovo millennio, tanto da essere inserito nella stessa Costituzione dello stesso Partito Comunista cinese nel 2017. Un’iniziativa colossale che dovrebbe attivare, secondo la banca americana Morgan Stanley, qualcosa come 1300 miliardi di dollari di investimenti in meno di 1o anni. Ed è sicuramente un progetto volto spostare il baricentro dell’economia mondiale verso est, cosa che allarma gli Stati Uniti e tutto il blocco atlantico. Molti critici hanno poi messo in guardia dai mezzi usati per convincere i futuri alleati, basati su mezzi “non convenzionali” come il debito pubblico. È il caso dello Sri Lanka che si è visto alleggerire gran parte del suo debito pubblico verso Pechino in cambio della cessione di un porto nuovo di zecca a una compagnia di stato cinese, una dinamica che molti evidenziano anche altrove. In Africa, ad esempio, oltre il 50% degli investimenti arriverà con la nuova “Via della Seta”, mentre oltre 10mila imprese cinesi sono già attive nel Continente. Una tendenza che ha già innescato da anni una pioggia di prestiti e di investimenti che alcuni critici denunciano come vere e proprie strategie neo-coloniali per il controllo degli stessi Paesi. Per alcuni osservatori e studiosi, Pechino userebbe la “trappola” del debito con l’obiettivo di rilevare risorse strategiche in Africa, così come è avvenuto in Sri Lanka.

Le fonti di finanziamento e la posizione italiana

Gli strumenti di investimento sono, da una parte l’Asian Investment Infrastructure Bank (Aiib), la Banca asiatica multilaterale di sviluppo promossa da Pechino, dall’altra il Silk Road Fund, che la Banca centrale cinese ha dotato di 40 miliardi di dollari Usa. Molti paragonano questa gigantesca opera infrastrutturale a una sorta di nuovo ed esteso nuovo “Piano Marshall” capace di attirare investimenti in grado di stimolare le economie e alleviare il peso del debito pubblico che schiaccia molti paesi, anche in occidente.

L’Italia, al momento, è l’unico paese del G7 ad aver annunciato che firmerà un memorandum con le autorità cinesi per la nuova “Via della Seta”, ma non l’unico paese europeo ad aprirsi al progetto di Pechino. Lo hanno già fatto Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia, prevedendo le nuove possibilità di sviluppo, nonostante l’irritazione di Washington. Conte ha puntualizzato che l’accordo quadro con i cinesi non è “vincolante”, mentre il mondo politico si è spaccato, con forte scetticismo proveniente dalla Lega: “Verifichiamo settori strategici italiani”e l’allarmismo di Berlusconi e Forza Italia. A non avere dubbi è invece l’ex premier Romano Prodi che ha ribadito: “Mi sembra che l’Italia debba svegliarsi e prendere la parte dei traffici verso est”.

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