La triste storia della metro di Parma

Gli sprechi di spesa pubblica non sono solo a sud. Questo è il racconto di un progetto infrastrutturale naufragato del nulla. Naturalmente, a spese nostre

Questa è la storia di un grande progetto, finito in una bolla di sapone. E’ una storia che comincia nella ridente cittadina di Parma, dove, grazie alla sponsorizzazione del ministro per le infrastrutture Pietro Lunardi, originario di Parma, nel maggio del 2005 il Cipe, delibera un finanziamento di 210 milioni a fondo perduto. Ma per il grande progetto di questa storia servono molti soldi, e allora altri 96 milioni di euro li mette il Comune di Parma, giunta di centrodestra, attraverso una società all’uopo costituita, la Metro parma Spa, che dovrebbe anche coinvolgere capitali privati. Tutto approvato dalla Regione Emilia-Romagna, di centrosinistra. Un progetto bipartisan, bellissimo, utile, concreto. Meglio delle riforme istituzionali. Questa è la storia della metro di Parma.

A CHE SERVE UNA METRO A PARMA? – Parma è una città pianeggiante, mediamente estesa, con circa 170mila abitanti. Certo non una metropoli. Il progetto approvato prevede due linee. La linea A, che deve collegare da nord a sud il casello autostradale al campus universitario e la linea C, che collega la stazione ferroviaria all’aeroporto e alla fiera. Costo complessivo 306,8 milioni di euro, costi di gestione a regime stimati in 15 milioni di euro annui, metà finanziati con i risparmi per i tagli al trasporto pubblico, il resto con aumenti tariffari. Ad un’analisi attenta del progetto (si veda qui) però i conti non tornano. Prendiamo la Linea A: 12 km, 26 fermate, 55 mila passeggeri previsti al giorno, 6.600 nell’ora di punta. Bastano? No: una metropolitana leggera si regge solo se può garantire 30 mila passeggeri (15 mila per ogni senso di marcia) nell’ora di punta. E comunque le previsioni di traffico del progetto sono molto ottimistiche. I dati della Tep, l’azienda trasporti di Parma dicono che un abitante di Parma fa in media 150 viaggi all’anno sui mezzi pubblici di superficie. Il progetto, invece, stima 16,8 milioni di passeggeri all’anno che, tenendo presente che la popolazione servita alla linea A è di 35 mila abitanti, significa prevedere 490 viaggi in media per ciascuno di essi. Più di uno al giorno, festivi compresi. Il contributo “sociale” alla riduzione dell’inquinamento: secondo il progetto, sarebbe ottenuto con una riduzione del traffico privato su gomma sarebbe del 2,7%, che significa una riduzione delle emissioni inquinanti di circa il 2,5%. Insomma è molto dubbio che una metro a Parma serva. E comunque non avrebbe abbastanza passeggeri da coprire neppure i costi di esercizio.

UN’INUTILE INSISTENZA – In molti fanno poi notare che se proprio si vuole affrontare il problema del traffico di Parma, ci sarebbero alternative valide e più adatte a una città di provincia con quell’orografia: autobus ecologici, oppure filobus dotati di un’autonomia che consente modeste deviazioni rispetto al percorso elettrificato, tram con sede propria. E con i soldi rimanenti si potrebbe pure sostituire il parco autobus odierno con mezzi che hanno un secondo motore (elettrico) e hanno quindi emissioni prossime allo zero. Ma c’è la legge obiettivo, che finanzia opere infrastrutturali “strategiche”: l’unico modo per enti locali a corto di soldi di finanziare qualcosa. Quindi si va avanti. Non serve che negli incontri pubblici alcuni denuncino il colossale spreco di denaro pubblico, la “pillola avvelenata” destinata a gravare sul bilancio comunale per decenni. Non servono i comitati che chiedono lo stop al progetto, come questo. Il progetto va avanti: alle elezioni del maggio-giugno 2007 il sindaco Ubaldi, cede il testimone al suo braccio destro, Vignali, l’attuale sindaco, eletto con un programma incentrato sulla metro. Il costo intanto è salito a 318 milioni, più i 15 milioni l’anno per la gestione del metrò, e le risorse Cipe sono scese a 172 milioni: il resto deve trovarlo il Comune. Il sindaco di centrodestra ci prova in tutti i modi, ma non c’è nulla da fare. L’epilogo è storia di oggi: come annuncia la Gazzetta di Parma, il Cipe ritira il finanziamento. Fine della storia.

TUTTO E’ BENE QUEL CHE FINISCE IN SPRECO – Tutto bene, quindi. Si è evitato un grave spreco di denaro pubblico. Mica vero, come è spiegato qui su Lavoce.info: i costi di questa operazione, conclusasi con un assoluto “nulla”, sono elevati. Perchè “la società Metro Parma ha operato per alcuni anni per mettere insieme il progetto. La progettazione è stata rivista diverse volte, per soddisfare i rilievi tecnici avanzati dal Cipe e per risolvere l’interferenza con le Ferrovie dello Stato”. Dai bilanci di Metro Parma, “risultano costi complessivi di circa 12 milioni (costi di progettazione e stipendi di chi ha diretto questa impresa)”. L’Ati, e in particolare la sua componente più vocale, la Pizzarotti, “dichiara che tra Metro Parma e questa impresa in realtà i costi già sostenuti ammonterebbero a circa 26 milioni, tra progettazione, assunzione di personale, acquisto e/o noleggio di macchinari, anticipazioni finanziarie e altro”. Senza contare che va considerato l’indennizzo che chi si è aggiudicato l’appalto intende chiedere: “ applicando parametri normali si potrebbe giungere ad altri 30 milioni”. Insomma, paga come al solito – Pantalone. Anche se stavolta non siamo in Calabria, o a Messina, ma nel nord, nell’Emilia, in una città amministrata dal centro destra, in una regione amministrata dal centro sinistra. Inutile dire che invece di progettare grani opere era meglio varare più modesti programmi di spesa per la mobilità sostenibile, per la messa in sicurezza delle strade secondarie. Vedere sprecare così i nostri soldi, in un paese a corto di risorse, grida davvero vendetta.

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