Cosa ha detto il fondatore di Telegram sulla sicurezza dei dati degli ucraini

Durov rassicura i suoi utenti circa la sicurezza dei loro dati su Telegram condividendo la sua storia personale, compresa quella di VK, social che fondò in Russia

08/03/2022 di Martina Maria Mancassola

UPDATE – rettifica: All’interno dell’articolo era presente un riferimento al fatto che Telegram non utilizzasse propriamente crittografia end-to-end. Telegram ha contattato Giornalettismo chiedendo la rettifica di questa affermazione sulla base del riferimento ai suoi termini e condizioni di utilizzo e Giornalettismo ha accolto la richiesta di rettifica. Inoltre, Telegram – attraverso un suo portavoce – ha specificato che le frasi di Pavel Durov non erano “frasi di circostanza” o di generica rassicurazione degli utenti, come testimonia il fatto stesso che il fondatore di Telegram abbia raccontato in prima persona la sua vicenda personale. Anche da questo punto di vista, Giornalettismo ha accolto la richiesta di rettifica di Telegram

Pavel Durov, fondatore e CEO di Telegram, ieri ha raccontato, sul suo canale pubblico Telegram, la sua storia e di come ha protetto in passato i dati degli utenti ucraini dal governo russo. Durov conclude il post rivolgendosi agli utenti e dichiarando che: «qualunque cosa accada, il loro diritto alla privacy è sacro. Ora, più che mai». Ma tale rassicurazione non basta, perché gli utenti sanno che Durov visse e lavorò proprio in Russia, tant’è che il social network VK – ancora oggi quello più diffuso in Russia – è stato fondato proprio da lui. All’inizio del 2010, poi però, il governo russo gli intimò di consegnare i dati degli utenti iscritti a VK, richiesta che il CEO di Telegram declinò e che lo portò ad essere licenziato ed allontanato dalla sua stessa azienda e, in generale, dalla Russia. Oggi, è proprio quest’ultima a controllare VK. 

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Telegram è sicuro: Durov interviene per rassicurare i suoi utenti circa la sicurezza dei loro dati sulla piattaforma

Durov interviene con un post sul suo canale Telegram cercando di rassicurare gli iscritti circa la sicurezza dei loro dati. Durov condivide con loro la sua storia familiare e, pare, così sostenere i cittadini ucraini. Durov, infatti, è figlio di una donna ucraina, originaria di Kiev: «il suo nome da nubile è ucraino (Ivanenko) e fino ad oggi abbiamo molti parenti che vivono in Ucraina. Ecco perché questo tragico conflitto è personale sia per me che per Telegram». In realtà, però, numerosi utenti si sono rivolti al CEO di Telegram domandandogli se la piattaforma fosse in qualche modo meno sicura per gli ucraini, dato che una volta lo stesso viveva in Russia e lavorava per il governo del paese, oggi, invasore. Egli, a tal proposito, rassicura i suoi iscritti spiegando loro come terminò la sua carriera in Russia nel 2014, dopo che l’FSB, agenzia di sicurezza russa, gli domandò di condividere con la stessa i dati privati ​​degli utenti ucraini di VK, i quali stavano protestando contro un presidente filo-russo. Durov nove anni fa fondava VK, di cui era altresì amministratore delegato, e questo diventò il maggiore social network in Russia e Ucraina, e lo è ancora oggi in Russia. Durov prosegue raccontando di essersi rifiutato di dar corso a tali richieste per tutelare gli utenti ucraini, e di essere, però, per tale ragione stato allontanato, e licenziato dall’azienda, che egli stesso aveva fondato. Durov racconta di aver perso azienda e casa, ma che lo rifarebbe «senza esitazione».

Da quel momento, Durov non ha più vissuto in Russia, né risulta avere in territorio russo più alcuna azienda o lavoratori dipendenti.

Nel 2018, il governo russo decise di chiudere Telegram ma non riuscì a portare a termine tale intento. Così, oggi, Telegram è, dopo Whatsapp, la seconda piattaforma di messaggistica più grande della Russia, vantando dal 2020 38 milioni di utenti attivi mensili nel paese. Durov risulta in passato aver protetto i dati degli utenti ucraini, a costo di perdere azienda e casa.

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