C’è una discarica abusiva sui fondali dello Stretto di Messina

31/03/2019 di Enzo Boldi

Siamo noi a decidere il nostro futuro, ma a guardare le condizioni dei fondali dello Stretto di Messina è evidente che a molti italiani non interessi tutelare l’ambiente e il pianeta che ci ospita. Dall’automobile che ha percorso due chilometri prima di arrivare, in solitaria, nel punto più profondo del fondo marino, fino a sedie, bambolotti e altra spazzatura sparsa a oltre 500 metri di profondità. Questa è la sorpresa, neanche troppo inattesa, che si sono trovanti di fronte i geologi dell’Università La Sapienza di Roma e del Cnr che hanno immerso le loro telecamere per visionare la salute del canale che divide la Calabria e la Sicilia.

Le immagini e il risultato dello studio sui fondali dello Stretto di Messina sono stati pubblicati dai ricercatori sul portale Nature, in cui viene spiegato nel dettaglio il livello di inquinamento derivato da scellerate e razionali scelte da parte dell’uomo. Ed è lì, fino ai 510 metri di profondità, che è stato ritrovato un numero immenso di rifiuti solidi urbani che sono diventati un tutt’uno con la sabbia. Tra gli oggetti ritrovati, oltre all’automobile che ormai giace capovolta su se stessa, anche una cucina.

La pattumiera sul fondo dello Stretto di Messina

«Abbiamo deciso di indagare meglio – ha detto Francesco Latino Chiocci, docente di geologia marina all’università Sapienza di Roma -, Così nel 2016 siamo tornati nello Stretto con il progetto RitMare. Questa volta lo scopo preciso era studiare i rifiuti urbani sui fondali. Ne abbiamo trovati in quantità sbalorditive». Un forno, un bambolotto inquietante tra i detriti, scarpe, cucchiai, stivali, palloni, mattoni, secchi di vernice, materassi, scopettoni da bagno, tavoli, sedie, vestiti, cavi elettrici e anche un albero di Natale tra le migliaia di rifiuti ritrovati sul fondo dello Stretto di Messina. Sono oltre 4mila i pezzi gettati nel canale che divide Calabria e Sicilia che possono essere identificati, senza considerare l’atavico problema dell’inquinamento da micro-plastiche.

Saremo ricordati come l’epoca delle geo-monnezza

La plastica morbida, rappresentata essenzialmente da buste e sacchetti di plastica, è di gran lunga la categoria più diffusa, rappresentando il 52,4% dei detriti totali, seguita da plastica dura che rappresenta il 26,1%. «Quel che accadrà, immagino, è che lentamente i rifiuti saranno ricoperti da fango o da altri rifiuti – conclude il professore Francesco Latino Chiocci – e un mio collega li ritroverà fra migliaia di anni. Così la nostra epoca verrà ricordata come l’epoca della geo-monnezza».

(foto di copertina da studio dell’Università La Sapienza e Cnr pubblicate sulla rivista Nature)

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