Storie della Resistenza. Maria Erminia Gecchele, la “Lena” partigiana

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Era una dei punto di riferimento della resistenza veneta e vicentina: sottoposta a torture e barbarie, non rivelò mai nomi e informazioni sulla sua brigata. A lei Egidio Meneghetti dedicò "La partigiana nuda"

«Ela l’è magra, tuta quanta oci,



coi labri streti sensa più colór,

ela l’è drita anca se i senoci



tremàr la sente e sbatociarghe ’l cor.»

« Lei è magra, tutta quanta occhi/ con labbra strette senza più colore, lei è dritta e, anche se le tremano le ginocchia, le si sente battere il cuore». Quando Egidio Meneghetti, medico e accademico veneto che prese parte alla Resistenza Veneta, scrisse “La Partigiana nuda”, raccontando orrori e violenze, parlava di Maria Erminia Gecchele detta “Lena”, giovane partigiana della provincia di Vicenza. La sua è la storia di una donna forte, capace e decisa, che riuscì a non rivelare nulla dei suoi compagni e dell’organizzazione della resistenza veneta, nonostante le terribili torture a cui fu sottoposta, e che la resero invalida.



Maria Erminia Gecchele, la “Lena” partigiana

Maria Erminia Gecchele, nata nel 1904, era un’operaia tessile presso il Lanificio Rossi di Torrebelvicino. Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, frequentò la cellula comunista di fabbrica e mosse i primi passi nell’ambito dell’antifascismo militante. Dopo l’8 settembre 1943 non ebbe dubbi su quale parte schierarsi: credette fin da subito nell’ideale della resistenza civile e armata diventando un punto di riferimento per tutta la zona. Iniziò come tante altre ragazze venete facendo la staffetta, ma velocemente le sue capacità la portarono ad essere una delle punte di diamante della brigata “Garemi”. Lena si occupava dei collegamenti, dell’organizzazione delle staffette e di gestire comunicazioni e informazioni della brigata. Poi passo al comando del comando del servizio informazioni della divisione coprendo l’attività dei partigiani dal Pasubio alla vallata dell’Agno, da Vicenza ad Asiago. Era lei a mettere in collegamento i partigiani di pianura con quelli di montagna, mettendo in collaborazione reparti garibaldini con quelli di altra estrazione politica: dal CLN e PCI di Vicenza a CLN locali fino a comitati dirigenti di zona del partito. Lena era schierata in prima linea, mettendo a rischio la sua vita ogni giorno.

L’arresto e le torture della “nuda partigiana”

Venne catturata da due militi fascisti nei pressi di Alte di Montecchio mentre portava a termine una missione il 13 dicembre del 1944.  Venne portata nelle carceri di Vicenza ma non rivelò nulla: sapeva benissimo che le informazioni di cui disponeva avrebbero potuto far crollare l’intero sistema locale della resistenza, e tacque, nonostante gli interrogatori incalzanti.

Proprio per la sua ostinatezza a non parlare, venne trasferita dopo pochi giorni a Palazzo Giusti a Padova. Cadde quindi nelle mani degli aguzzini dell’UPI e gli uomini della “Banda Carità”, che la sottoposero a terribile sevizie dal dicembre ’44 fino all’aprile del 45. Sono quelle raccontate nel poema di Egidio Meneghetti, che proprio a lei dedicò “la partigiana nuda”. Il testo, scritto in Veneto, racconta dell’incontro della giovane con gli uomini che la obbligano a spogliarsi, e abusano di lei. Violenze che rimasero impresse sul suo corpo, vittima di barbarie. Lena però non parlò. Nel poema gli inquisitori le dicono « O partigiana se parlerai subito a casa tu tornerai », « O partigiana se tacerai per la Germania tu partirai » fino a « O partigiana te spogliarò e nuda cruda te frustarò ». Lena, nel poema come nella realtà, non si piegò: «El fassa pura quel che ghe par, son partigiana no voi parlàr», faccia pure quello che le pare, sono partigiana e non voglio parlare. Arriva addirittura a spogliarsi da sola, cercando di mantenere quella dignità che gli uomini della banda volevano levarle. «Me spoio da par mi, lu no’l me toca», Mi spoglio da sola, lui non mi tocca, le fa dire Meneghetti. Non rivelò un nome, né un luogo: non riuscirono a farle pronunciare alcuna confessione, nonostante i barbari tentativi di piegare il suo animo e la sua forza di volontà. Raccontò che fin dall’arrivo alle carceri di Vicenza «cominciò il mio calvario: l’alternarsi di interrogatori e torture….sempre nuove e perfezionate, … sarebbe bastato pronunciare un nome per provocare la catastrofe di un paese, tutto finiva nell’assoluto silenzio, unica sperimentata salvezza…».

La liberazione i riconoscimenti

 Quando venne liberata il 27 aprile 1945, Maria Erminia Gecchele aveva ferite da arma da taglio sulle braccia, la mandibola sinistra fratturata cosi come le costole. Era stata sottoposta anche alla tortura con l’elettricità, lo ammise uno dei suoi carnefici Umberto Usai – Lena fu «spogliata ed elettrizzata, molto» disse. Le venne infatti riconosciuto un alto grado di invalidità per cause di guerra. Con una decisione del  30 marzo 1949, il consiglio dei ministri le riconobbe il il grado di “tenente” per il periodo marzo – maggio 1944 e quello di capitano per il periodo giugno 1944 – aprile 1945, mentre nel 1968 le vennero conferite due croci di guerra. 

Maria Erminia Gecchele, Lena, si è spenta il 7 maggio 1975.

(credits immagine di copertina: Facebook: Antifascismo Femminista)