Dal sogno alla tragedia: Genova e il Ponte Morandi

C’è una data che cambia per sempre la storia di Genova. Il 4 settembre del 1967, alla presenza del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e dell’allora potentissimo ministro dell’Interno, il genovese Paolo Emilio Taviani, viene inaugurato quello che per tutti i genovesi era il “Ponte di Brooklyn”. Il ponte, ideato dall’ingegner Riccardo Morandi, serve a collegare Genova con il ponente in direzione Ventimiglia. Il viadotto Polcevera è lungo 1182 metri, la tecnologia costruttiva è quella del calcestruzzo armato precompresso e il progetto ridisegna completamente lo skyiline della città entrando, nel bene e nel male, a far parte dei simboli del capoluogo ligure. Quando si sgretola, nel drammatico 14 agosto 2018, anche Genova non sembra più la stessa. Eppure quel crollo non è esattamente un fulmine a ciel sereno.

Gli allarmi inascoltati e il problema della manutenzione

Il primo a lanciare l’allarme sulla dubbia stabilità del ponte fu lo stesso progettista: “La struttura presenta una degradazione del cemento armato molto rapida in alcune parti (…) molto di più di quanto ci si potesse aspettare” sentenziava l’ingegner Morandi nel lontano 1981. Da allora il ponte è stato teatro di vari interventi di manutenzione, ma mai definitivi. Nel 1993 vengono rinforzati alcuni stralli che presentavano gravi segni di “degrado delle armature di acciaio”. La “vita” del ponte viene così “allungata” fino al 2030, ma la previsione appare piuttosto ottimistica. Con l’avvento della privatizzazione del 1999 e la nascita di Autostrade per l’Italia, anche la gestione della manutenzione del Morandi passa in mani private. Nel 2015 la società Autostrade affida alla società ingegneristica Cesi una consulenza sullo Stato del ponte e dei tiranti, in vista di un ulteriore intervento di rinforzo sulle pile 9 e 10. Nel maggio del 2016 i risultati di Cesi segnalano “asimmetrie” negli stralli. Nell’ottobre del 2017 il CDA di Autostrade per l’Italia approva il rinforzo di alcuni stralli del ponte, mentre uno studio del Politecnico di Milano segnalava, appena un mese dopo, un’ulteriore anomalia nel funzionamento degli stralli, sollecitando l’uso di sensori, che però non verranno mai installati.

Il 1° febbraio 2018, appena sei mesi e mezzo prima della tragedia, il Comitato Tecnico Amministrativo del Provveditorato viene chiamato a dare un parere sul progetto di rinforzo. Lo approva, ma nonostante l’elencazione delle criticità, non prescrive misure di sicurezza, come la parziale chiusura al traffico, in attesa del via ai lavori. Una scelta che si rivelerà purtroppo letale.

Il 14 agosto 2018, mentre Genova è scossa da un violento temporale, la pila numero 9 collassa. Prima cedono i tiranti, poi il pilone e l’impalcato. Precipitano decine di veicoli, migliaia di tonnellate di cemento e acciaio seppelliscono officine ed edifici. Muoiono 43 persone. Italiani di varie città, stranieri in vacanza, famiglie intere, un bimbo di 7 anni, insieme a una bimba di 9 e una di 12. Il resto è, purtroppo storia recente e ancora in evoluzione.

Dalle polemiche sulla concessione al processo

Appena dopo ferragosto inizia il dibattito sulla revoca della concessione ad Autostrade. Lo innescano le dichiarazioni del vicepremier Di Maio e del ministro Toninelli. La Lega resta in silenzio ma nei giorni successivi non nasconde il suo enorsement ad Autostrade per l’Italia per la riscostruzione.

Il 6 settembre 2018 la Procura iscrive nel registro degli indagati venti persone e la Società Autostrade per l’Italia. Vengono notificati gli avvisi di garanzia ai vertici di Autostrade, ai dirigenti del Ministero delle Infrastrutture, ai funzionari del Provveditorato e agli ingegneri progettisti di Spea, la società in house di Autostrade. Ci sarà tempo per il cosidetto “Decreto Genova”, per la nomina del Commissario per la ricostruzione (l’ex sindaco Bucci), per l’approvazione del nuovo progetto, firmato nientemeno che da Renzo Piano, per l’abbattimento di quello che resta della vecchia opera.

Gli indagati intanto salgono  a 74 fra Autostrade, la società controllata Spea, le varie articolazioni del ministero dei Trasporti, per un processo che si prospetta lungo e complesso. Mentre il ponte Morandi resta ancora una ferita sanguinante. L’ennesima di un Paese tragicamente abituato a piangere morti senza giustizia.

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