Guardate com’eri, guardate come sei: l’evoluzione dei bot

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Dal test di Turing alle moderne chatbot basate sull'intelligenza artificiale

Nacquero nel secondo dopoguerra con la funzione di “test“. Oggi sono uno tra gli strumenti utilizzati, in varie forme, da piccole, medie e grandi aziende. Parliamo della storia dei bot, quei programmi o script che nel corso degli anni si sono evoluti, anche nelle funzioni, e rappresentano uno dei sistemi più in voga nel momento. Perché l’intelligenza artificiale si basa proprio su tutto ciò e l’informatica continua a proporre nuove soluzioni che vanno nella direzione di automatizzazione anche dei più semplici processi comunicativi (come le chatbot).



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Negli ultimi mesi, la storia dei bot ha aggiunto un nuovo punto di atterraggio nella sua evoluzione grazie a ChatGPT, le cui dinamiche e funzionalità hanno bypassato il concetto di “moda del momento” diventato argomento di discussione e di utilizzo da parte non solo degli sviluppatori, ma anche degli “utenti base” che hanno testato questo prodotto generato dal lavoro di OpenAI. E la pubblicazione “open” ha fatto sì che anche moltissime aziende svelassero i loro piani futuri e futuribili (che già erano in cantiere).



Storia dei bot, com’erano e come sono diventati

Prima di partire con la linea del tempo e raccontare la storia dei bot, partiamo dalla definizione: si tratta dell’abbreviazione del termine “robot” che rappresentano dei sistemi automatizzati (sotto forma di software e script) che vengono utilizzati – oggi – come interfaccia comunicativa tra l’essere umano e la macchina. La definizione può sembrare molto vaga. E lo è per un motivo molto semplice: le funzionalità di un bot sono molteplici, così come i suoi scopi d’uso. Si parte dai test (come all’origine della loro storia), passando per gli usi malevoli (da parte dei pirati informatici), fino alla gestione automatizzata delle risposte nelle interfacce tra “cliente-utente” e una azienda.

Da Turing a ChatGPT

Perché la storia dei bot ha origine nel 1950, quando l’informatico inglese Alan Turing diede vita a un test (che ha preso il suo nome) per comprendere se una macchina fosse in grado di comprendere e imitare il comportamento di un essere umano. Il suo studio fu pubblicato sulla rivista “Mind” (qui il link all’archivio di quell’articolo) e l’assunto iniziale era molto innovativo per l’epoca, dando vita a quello che poi diventerà il concetto di bot:



«Propongo di considerare la domanda: “Le macchine possono pensare?”. La risposta dovrebbe iniziare con le definizioni del significato dei termini “macchina” e “pensa”. Le definizioni potrebbero essere inquadrate in modo da riflettere il più possibile l’uso normale delle parole. Questo atteggiamento, però, è pericoloso, se il significato delle parole “macchina” e “pensa” deve essere trovato esaminando come sono comunemente usati ed è difficile sfuggire alla conclusione che il significato e la risposta alla domanda: “Le macchine possono pensare?” deve essere ricercato in un’indagine statistica come un sondaggio Gallup. Ma questo è assurdo. Invece di tentare una tale definizione, sostituirò la domanda con un’altra, che è strettamente correlata ad essa ed è espressa con parole relativamente univoche.
La nuova forma del problema può essere descritta in termini di un gioco che chiamiamo “gioco dell’imitazione”. Si gioca con tre persone, un uomo (A), una donna (B) e un interrogatore (C) che può essere di entrambi i sessi. L’interrogante rimane in una stanza a parte rispetto alle altre due. Lo scopo del gioco per l’interrogante è determinare quale degli altri due è l’uomo e quale è la donna. Li conosce con le etichette X e Y , e alla fine del gioco dice “X è A e Y è B” o “X è B e Y è A».

Diversi anni dopo il test di Turing, ecco arrivare Eliza: questo bot (anzi, chatterbot) fu creato dallo sviluppatore tedesco Joseph Weizenbaum nel 1966 come applicazione della tesi sviluppata dall’informatico inglese 16 anni prima. Si trattava di un programma che “fingeva” di essere uno psicoterapeuta che si interfacciava con l’utente dando risposte che confermarono l’assunto: questo principio superava il test di Turing. Con il passare degli anni ci furono altri esperimenti simili, per arrivare nel 1988 a Jabberwacky, un bot in grado di simulare la voce dell’essere umano. Gli anni ’90, pii, rappresentarono un periodo molto florido per l’evoluzione della storia dei bot. Da Crawler a Bucean, passando per A.L.I.C.E., Cleverbot e Clippy (il famoso bot di Microsoft Office in grado di dare risposte agli utenti che cercavano aiuto per utilizzare i vari programmi contenuti nei vari pacchetti). Poi, nel nuovo Millennio, ecco arrivare quegli strumenti che utilizziamo quotidianamente e che si basano sul principio di chatbot: da Siri (l’assistente vocale di Apple) ad Alexa (di Amazon, fino ad arrivare a tutte le soluzioni che hanno lo stesso impianto.

Poi arrivò il tempo di ChatGPT e di quell’intelligenza artificiale che oggi è nota ai più. Un sistema alla base dei più sviluppati sistemi di chatbot che ora è anche integrato (nella sua versione -4) in Microsoft Edge. E non solo. Perché diverse aziende hanno affidato a questa intelligenza artificiale sviluppata i principali strumenti di customer service. Dunque, dal 1950 al 2023, verso il futuro. Con la ricerca sempre più spasmodica dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale, il mondo già mutato è destinato a cambiare ancora.