Alla Stazione Tiburtina fra i migranti ho giocato con Fatima

Alla Stazione Tiburtina ho giocato con Fatima, una bambina bellissima e piena di ricci neri che viene dal Gambia, ed è in viaggio verso la Germania; la tiene in braccio un’altra volontaria, mentre la piccola cerca di afferrarle il naso: “Lei di solito non si fa prendere in braccio”, ci dice il padre, in un inglese un po’ stentato: “Ma tu sei buona e lei l’ha visto”, le dice. Sono entrambi in viaggio verso il nord Europa, come praticamente tutti quelli che sono stipati nel campo che la Croce Rossa ha allestito sotto i binari del secondo scalo ferroviario della Capitale italiana, dove ogni giorno ci sono fra i 90 e i 150 migranti che vanno e vengono, rimangono, chi due giorni, chi cinque, chi dieci, chi di più.

STAZIONE TIBURTINA, IL REPORTAGE NELLA TENDOPOLI DEI MIGRANTI

“L’ultima volta che sono venuto era 10 giorni fa, oggi vedo facce nuove, quindi in molti se ne sono andati”, ci dice alla fine della serata il vice-capo campo di turno, un pasticcere di Grottaferrata, volontario della Croce Rossa da tanti anni. Domenica sera, arriviamo al campo intorno alle 19 per un turno serale di servizio nella tendopoli: circa cento gli ospiti del campo, ascoltiamo un silenzio irreale. Le persone guardano i nuovi arrivati con un misto di curiosità e abitudine, tanto è il turnover di volontari da varie associazioni (scout, Save the Children, Francescani, Associazioni di Volontariato di strada): “Qui sono venuti veramente tutti”, ci dice il personale della Croce Rossa, cortese e cordiale, imparano subito i nostri nomi. “Giochiamo con lui”, dice la volontaria con noi, con un paio di esperienze di volontariato in Africa: lui è Faniel, un bimbo di due anni vestito solo con una maglietta che gira con una palla in mezzo alla sabbia; appena lei lo chiama, lui si fa avanti, incoraggiato dalla mamma con dei riccissimi capelli, che parla un po’ di inglese: “Eritrea”, ci dice, “tre giorni” – è il tempo che ha passato finora nel campo.

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MIGRANTI ALLA STAZIONE TIBURTINA: “ABBIAMO SCELTO DI NON REGISTRARLI”

Una, due, tre, quasi dieci tendoni in cui i migranti vengono accolti, senza nessuna particolare formalità: “Abbiamo scelto così”, ci dice un volontario della Croce Rossa, “perché non vogliamo perdere la loro fiducia. Se gli chiedi il nome, poi, te lo danno falso, perché non vogliono essere identificati. Loro vengono, gli diamo un posto, un cambio di vestiti, e quando vogliono vanno via. Adesso penseremo a come comportarci diversamente, ma per ora è l’unico modo”. Faniel gioca nella sabbia con la sua palla, insieme a noi, davanti ai bagni della Tendopoli mentre gli ospiti fanno avanti e indietro per lavarsi alla fonte, niente più che un tubo di gomma nera che viene fuori da taniche blu: “No Water! No water!”. E’ il capocampo, che si avvicina con tono marziale: “Ditegli di non usare l’acqua. Non si può usare l’acqua, questa deve durare fino a domani mattina, altrimenti finisce”. Ci mettiamo a presidiare la pompa dell’acqua, un paio di migranti si avvicinano per aprirla, siamo costretti a mandarli via; ci esprimiamo in inglese, qualcuno ci capisce, qualcun altro no. E’ il caso di Adem, che viene dal Sudan: “Sud o Nord?”, chiediamo: “Nord”, risponde dopo qualche esitazione. Un ragazzo che ostenta un gran sorriso, ci facciamo due passi con lui.

Le tende femminili
Le tende femminili

IL MIGRANTE DIRETTO IN GRAN BRETAGNA: “ITALIA IS GOOD”

La comunicazione è la parte più difficile. Inglese, francese, qualcuno di loro ne parla qualche parole, ma in generale bisogna esprimersi a gesti. Adem ci racconta qualcosa. “Italia is good”, ci dice, ma lui è in viaggio verso la Gran Bretagna, dove lo aspetta un fratello: si è imbarcato in Libia su una barca con altre 400 persone, e nella traversata non si poteva stare seduti, ci racconta, perché il trafficante di uomini li minacciava con armi da fuoco. “Italia is good”, ripete, ma lui è da solo qui: i suoi amici non sono partiti con lui, o li ha persi durante il viaggio, non si capisce bene cosa voglia dirci, solo che vuole andare via il prima possibile: il suo futuro è altrove, quel futuro per il quale ha pagato caro, una parte in contanti – dinari libici – una parte in oro. Ci dice una cifra, ma probabilmente la sbaglia, perché ci dice un importo davvero troppo basso: “Il viaggio costa dai 4mila ai 6mila euro, tutto compreso”, ci spiega una volontaria di esperienza: “Sto qui praticamente tutti i giorni, c’è tanto da fare a tutte le ore”.

La tenda magazzino con gli orari del campo
La tenda magazzino con gli orari del campo

MIGRANTI, CHI GLI PAGA IL BIGLIETTO?

Tutto compreso? Cosa? L’arrivo in Sicilia, e poi il biglietto del treno fino al nord Italia: un migrante deve partire quella sera, ha il biglietto in mano. Destinazione Bolzano: “Da lì poi cercherà di arrivare in Austria, o in Germania, o dove deve”, ci spiegano: qualcuno in Norvegia, in Svezia. Più a nord: “Hanno la loro rete, qualcuno gli fa avere il biglietto: amici, parenti, fratelli già espatriati, o anche vicini di villaggio, una comunità larga. Per tutto il resto, c’è la criminalità organizzata, le bande organizzate degli immigrati: “Bisogna stare sempre all’erta”, ci dice il militare di Croce Rossa di guardia alla tendopoli: “Le faide fra gli immigrati sono pericolosissime, ci sono risse, baruffe e accoltellamenti. C’è una rivalità terribile fra di loro, fra gruppi etnici, i nigeriani per quello che so io sono i più odiati. Ho un collega di servizio a Pantelleria, mi ha detto: è scoppiata una rissa coi nigeriani, ho dovuto prendermi un turno di riposo”. La maggioranza degli ospiti del campo vengono dal corno d’Africa, dall’Eritrea, oppressa dal 1993 dalla dittatura militare di Isaias Afewerki: “Ha tassato anche le rimesse degli emigrati, quindi i soldi di chi espatria per cercare fortuna e mandare i soldi a casa finiscono per finanziare anche quel regime da cui sono fuggiti”, ci spiegano i volontari.

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“HA FATTO IL VIAGGIO SEDUTA SUL MOTORE DELLA BARCA”

La storia di Adem, costretto a rimanere in piedi per tutto il viaggio, non è nemmeno la peggiore: “L’altroieri abbiamo portato all’ospedale una ragazza con ustioni di secondo grado su entrambe le natiche: ha fatto la traversata seduta sul motore del battello”, ci dicono i volontari della Croce Rossa: “E vedi lui?”, ci indicano un uomo, non avrà quarant’anni, cammina con una stampella: “Si sta riprendendo. Sindrome da schiacciamento, era arrivata al livello neurologico. Ha fatto il viaggio con chissà quante persone sedute, sdraiate, stipate sopra di lui”. Faniel intanto si è allontanato, gioca con un bastone mentre altri ragazzi giocano a pallavolo con una rete di fortuna: la ragazza con noi gli toglie l’arma improvvisata dalle mani. “Io faccio tutt’altro nella vita”, ci dice: “Lavoro in uno studio di consulenza finanziaria. Prima di andare in Africa a far giocare i bambini con i Salesiani, io di volontariato non sapevo niente, non mi interessava proprio, non era roba per me; né sono credente o altro. Ma ora, il fatto è”, ci dice, “che io qui, fra di loro, so che sarei felice. Anche senza niente. Infatti, sto pensando di trovare un modo per dare una mano che non sia cosmetico, che non sia solo farli giocare. Programmi di sviluppo, Banca Mondiale…si vedrà”.

La tenda della Croce Rossa

FRANCO GABRIELLI: “IL CAMPO CHIUSO IN UN MESE”

Abbiamo preparato la cena: porzioni di pasta preconfezionate, e un pastone di scatolame; fagioli, mais, tonno, piselli, più frutta. Latte, per chi lo vuole, con zucchero: un uomo si sbaglia, ci mette il sale. Ci chiedono di stare fuori dal tendone a governare la fila: fermi, un altro, fermi, passare, fermi, un altro. I migranti ci segnalano chi deve passare avanti la fila, a gesti, ma capiamo: donne, bambini, infortunati, la barriera linguistica non è un ostacolo. Ci chiedono di mettere a posto pacchi di vestiti appena arrivati, la tenda magazzino è una sorta di delirio di giacche, camicie, pantaloni, scatoloni arrivati da tutte le organizzazioni che hanno raccolto beni di prima necessità; alcune hanno il simbolo del Partito Democratico. Ci chiedono di andare a prendere omogenizzati per i bambini nella cella frigorifera donata dalle Acli; una migrante ci chiede sapone, un altro lamette da barba, il clima è sereno, per quanto possa esserlo in un luogo di transito come questo. Molti migranti non mangiano perché è il mese di Ramadan, né bevono acqua prima del tramonto. Una mamma con due bambini si tiene a distanza da tutti gli altri: “I piccoli hanno la varicella”, ci spiegano i volontari. Il campo è stato aperto lo scorso 14 giugno 2015, e secondo il prefetto Franco Gabrielli si sarebbe trattata di una “soluzione temporanea”, della durata massimo di un mese: domani, 14 luglio, scade il periodo indicato dal prefetto della Capitale. Tutto porta a pensare che fra due giorni, il campo sarà ancora dove l’abbiamo lasciato, ripercorrendo a tarda sera i binari della stazione Tiburtina.

 

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