È iniziato il processo “Stati Uniti vs. Google”
La causa ha origine nel 2020, intentata presso un Tribunale federale. L'accusa è quella di abuso di posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca
12/09/2023 di Enzo Boldi
In origine erano ben sette i capi di imputazione, prima che il giudice decise di dare una netta sforbiciata tagliando quelli relativi al mercato pubblicitario. Ma quel che inizia oggi negli USA potrebbe essere il primo passo verso un cambiamento epocale per quel che riguarda il settore tecnologico e lo strapotere commerciale delle aziende Big Tech. Perché a muovere le accuse contro il più potente colosso della Silicon Valley sono proprio gli Stati Uniti (insieme ad altri Stati) che hanno dato vita alla prima grande azione legale dell’Era digitale contro Google.
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Il processo inizia oggi, martedì 12 settembre, e Giornalettismo spiegherà tutti i contorni di questa vicenda e i paradigmi commerciali che potrebbero cambiare tra 10 settimane, periodo temporale entro cui – secondo le previsioni – dovrebbe concludersi questa causa giudiziaria. L’accusa è quella di cui si parla da anni e che in passato – non in modo così invasivo e non negli Stati Uniti – ha coinvolto anche altri attori del settore Tech: abuso di posizione dominante sul mercato. Non su quello pubblicitario (che, come detto, è stato escluso da questa causa), ma su quello legato ai motori di ricerca e al loro “posizionamento” all’interno dei dispositivi che utilizziamo ogni singolo giorno della nostra vita.
Stati Uniti contro Google, i motivi del processo
Come spiega la Reuters, tutto ha avuto origine alla fine del 2019. Alla guida degli Stati Uniti c’erano i Repubblicani e al vertice della Casa Bianca c’era Donald Trump. Quell’indagine Antitrust (anche contro Apple) si è trasformata, nel giro di pochi mesi, in una azione legale partita direttamente dal Dipartimento di Giustizia degli USA. Da quel momento, era il mese di ottobre del 2020, le indagini si sono intensificate e ora si è arrivati al processo per “abuso di posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca). I punti-chiave di questa vicenda sono tre. Secondo l’accusa, Google avrebbe:
- Utilizzato la sua posizione dominante per favorire i propri prodotti e servizi, come Google Search, Google Maps e Gmail, rispetto a quelli dei concorrenti;
- Contrattato con i produttori di dispositivi mobili per rendere Google Search il motore di ricerca predefinito;
- Usato i dati raccolti dalla sua attività di ricerca online per sviluppare prodotti e servizi che danno un vantaggio competitivo ai suoi propri prodotti.
Tre punti che si racchiudono nell’accusa di monopolio per azzerare la concorrenza, andando a violare – secondo il governo degli Stati Uniti (e non solo) – una norma redatta e approvata nel lontano 1890: lo Sherman Antitrust Act. Questa legge, seppur datata nel tempo, è nata per regolamentare il mercato e la concorrenza (inizialmente era prevista per evitare monopoli nel campo delle materie prime).
Le accuse
Secondo il l’Antitrust americana e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, Google avrebbe abuso della sua posizione dominante per “imporre” (anche dietro pagamento) il suo motore di ricerca sui dispositivi. Stando agli ultimi dati – inseriti all’interno delle carte processuali -, l’azienda di Mountain View non ha solamente conquistato una posizione di monopolio (circa il 90% del mercato statunitense, ma anche europeo), ma ha anche fatto terra bruciata per la concorrenza: motori di ricerca come Bing e DuckDuckGo, per esempio, sono stati penalizzati non solo dalla potenza tecnologica di Google, ma anche da pratiche commerciali scorrette.
Si parla, per esempio, dei circa 45 milioni di dollari all’anno che l’azienda che fa parte (dal 2015) della holding Alphabet versa nelle casse dei principali produttori di smartphone (da Apple a Motorola, passando per Samsung e LG) per rendere il proprio motore di ricerca “di default” all’interno dei dispositivi (e anche sui pc). L’azienda, dal canto suo, ha respinto al mittente le accuse sostenendo di offrire una facile e rapida possibilità di scelta agli utenti che, in pochi passaggi, possono scegliere il proprio browser predefinito.
Ora la palla passa nelle mani del giudice Amit Mehta che, nel giro di 10 settimane a partire da oggi, darà una risposta definitiva sul caso Stati Uniti contro Google. Qualora si valutasse come illecita la condotta dell’azienda Big Tech, si aprirebbe un fronte rivoluzionario per il mercato tecnologico. Mountain View, infatti, non rischia solamente una multa, ma anche un cambio strutturale di paradigma che potrebbe far crollare quel castello la cui prima pietra è stata messa (pochi giorni fa è stato l’anniversario) ben 25 anni fa. Nata nei giorni in cui Microsoft subiva un processo analogo.