Il sottosegretario M5S Di Stefano e le 18 domande (che non rinnega) per attaccare Salvini
06/07/2018 di Redazione
Un attacco durissimo a Matteo Salvini per le vicende giudiziarie che travolgevano la Lega Nord e le posizioni espresse su Europa, immigrazione, banche, costi della politica. Lo sferrava nel 2016 con 18 domande al leader del Carroccio l’esponente del Movimento 5 Stelle Manlio Di Stefano, che oggi è sottosegretario agli Esteri e dunque compagno di squadra del segretario del Carroccio, ministro dell’Interno e vicepremier nel governo Conte. A ricordarlo è oggi il quotidiano Repubblica in un articolo di Conchita Sannino che evidenzia soprattutto le distanze di questi giorni tra leghisti e pentastellati in materia di giustizia, con i primi che attaccano i magistrati e i secondi che chiedono il rispetto delle sentenze.
Di Stefano e le 18 domande a Salvini nel 2015
Era precisamente il 5 febbraio 2016, quando, con un post su Facebook, il deputato M5S Di Stefano pubblicava i 18 quesiti per Salvini. «Perché – chiedeva il parlamentare grillino al leader della Lega – non vi siete costituiti parte civile nel processo contro il vostro ex tesoriere Belsito e Bossi per i reati di truffa ai danni dello Stato e riciclaggio dei rimborsi elettorali per oltre 40 milioni di euro?». E ancora: «Pensa di restituire questi soldi rubati al popolo italiano?». Domanda numero 9: «Dal 1997 alla sua chiusura il vostro giornale di partito ‘La Padania’ è costato agli italiani 61 milioni di euro. Dove sono finiti questi soldi per giustificare una chiusura per fallimento?». Sull’immigrazione: «Continua a ripetere che gli immigrati prendano dallo Stato 35 euro al giorno, dopo Mafia Capitale anche le pietre sanno che questi soldi non vanno a loro ma a chi li gestisce, italiani. È solo ignorante o c’è malafede nel dire il falso?».
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Due sottosegretario M5S contro l’attacco ai giudici
Di Stefano, due anni e mezzo dopo, non prende le distanze dagli interrogativi posti. «Le mie domande sulla truffa della Lega? Certo che restano valide, certo che ci credo», è stata la sua risposta a Repubblica. E poi: «Non rinnego nulla, ci mancherebbe. Anzi, sono d’accordo con il ministro Bonafede: le sentenze si rispettano». Ma il deputato non è l’unico nella squadra di governo a marcare le distanze dalla Lega. Carlo Sibilia, sottosegretario all’Interno, ieri all’Adnkronos ha dichiarato: «Siamo sempre stati del parere che le sentenze si rispettano. In Italia ci sono tre gradi di giudizio e tutti devono avere il diritto di difendersi. Urlare alla magistratura politicizzata quando qualcosa non ci sta bene ha un retrogusto berlusconiano che i cittadini vogliono dimenticare».
(Foto di copertina da archivio Ansa. Credit immagine: Vincenzo Tersigni / ANSA)