Non solo SVB: è fallita anche Signature Bank, la “banca delle criptovalute”

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È la seconda vittima dell'effetto domino innescato dalla chiusura della Silicon Valley Bank

Un effetto domino differente rispetto a quello del 2008, quando – in seguito alla grande crisi economica – fallì la Washington Mutual. Ma il rischio di una recessione, seppur in tono minore, è uno spettro difficile da scacciare, nonostante gli interventi da parte degli Stati per far sì che quello scenario non si ripeta. Quanto accaduto nei giorni scorsi alla Silicon Valley Bank – banca commerciale con sede in California, punto di riferimento delle aziende tech, in particolar modo delle startup – ha, infatti, mietuto la sua prima vittima: si tratta della Signature Bank che, ora, è finita nelle mani la FDIC (la Federal Deposit Insurance Corporation) che curerà la fase fallimentare.



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La notizia del fallimento e – di fatto – della chiusura di Signature Bank è stata annunciata nella giornata di domenica, dopo l’intervento del Dipartimento dei servizi finanziari dello Stato di New York, con la nomina della FDIC come curatore fallimentare. Collegandosi al sito della banca statunitense, tra le prime ad avere l’intuizione di differenziare i suoi servizi aprendo alle criptovalute, oggi compare questo messaggio.



«Domenica 12 marzo 2023, Signature Bank, New York, è stata chiusa dal Dipartimento dei servizi finanziari di New York. Successivamente, la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) è stata nominata curatore fallimentare. Nessun preavviso viene dato al pubblico quando un istituto finanziario viene chiuso. Per proteggere i depositanti, la FDIC ha trasferito tutti i depositi e sostanzialmente tutte le attività di Signature Bank a Signature Bridge Bank, una banca a servizio completo che sarà gestita dalla FDIC in quanto commercializza l’istituto a potenziali offerenti».



Signature Bank, il fallimento della banca delle criptovalute

Come specificato nella nota diffusa dalla FDIC, al momento del fallimento la Signature Bank aveva un patrimonio (al 31 dicembre scorso) di 110,4 miliardi di dollari, con depositi per una cifra totale di 88,6 miliardi di dollari. Cifre di rilievo per un istituto bancario nato nel 2001 e che nel corso degli anni si era affermato come punto di riferimento per quel che riguarda il settore delle criptovalute. Nel 2018, infatti, la banca aveva introdotto tra i loro servizi uno strumento utile al deposito, alla conservazione, agli acquisti e al trasferimento degli asset digitali. Il suo nome era “Signet” e permetteva di compiere tutte queste azioni direttamente dal proprio conto bancario.

I numeri prima della fine

Un sistema che ha garantito all’istituto newyorkese di raddoppiare il valore e il volume del suo deposito nel giro di pochi anni. Secondo l’ultimo bilancio, quello del 31 dicembre del 2022, il 27% dei depositi derivava proprio dalle criptovalute. Ma proprio questo stretto legame con gli asset digitali ha dato la spinta verso il baratro. Prima il fallimento di FTX, poi il tentativo la decisione di interrompere rapporti commerciali con alcune aziende-clienti (come Binance). Prima ancora, la crisi del mercato dei Bitcoin e similari, con il valore di ogni singola moneta virtuale che ha toccato il minimo storico (dal novembre 2020) nel a cavallo tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Dunque, una serie di problematiche che si sono accumulate e hanno provocato la crisi di liquidità della banca che, ora, è fallita. Conseguenza dell’effetto domino provocato dalla Silicon Valley Bank, provocando timori negli investitori e la fuga dei clienti.