Cosa dice l’emendamento al Digital Service Act presentato dalla Lega al Parlamento Europeo

La prima firmataria è l'Europarlamentare del Carroccio Alessandra Basso. Si parla di "Shadow Ban" e di "libertà di espressione"

18/01/2022 di Enzo Boldi

La Lega chiede al Parlamento Europeo che le piattaforme online (quindi anche i social) non possano utilizzare lo Shadow Ban. Il ban ombra, quello che permette ai diversi portali di fare le proprie verifiche e sospendere o limitare le attività di un utente che si è prodigato nella diffusione di bufale o ha utilizzato epiteti razzisti, xenofobi, omofobi (o altri atteggiamenti di odio). Lo si evince da due emendamenti, firmati anche dall’Europarlamentare del Carroccio Alessandra Basso, presentati alla proposta di modifica della direttiva 2000/31/CE che rappresenta, di fatto, la nuova legge sui servizi digitali.

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L’emendamento numero 488 –  firmato dall’eurodeputata della Lega Alessandra Basso e dall’europarlamentare tedesco Markus Buchheit (AFD, Alternative für Deutschland) in rappresentanza del gruppo Identità e Democrazia al Parlamento UE – chiede l’inserimento di un considerando N° 38-bis sulla trasparenza delle piattaforme online (quindi anche i social). Il testo originale del “Considerando 28” recita, presente nella proposta di modifica che deve essere approvata ed è tuttora in discussione, recita:

«Benché la libertà contrattuale dei prestatori di servizi intermediari debba, in linea di principio, essere rispettata, è opportuno stabilire determinate norme sul contenuto, sull’applicazione e sull’esecuzione delle condizioni generali di tali prestatori nell’interesse della trasparenza, della tutela dei destinatari del servizio e della prevenzione di risultati iniqui o arbitrari».

A tutto ciò, gli eurodeputati chiedono di aggiungere questo.

 

«Il ricorso a misure non trasparenti da parte delle piattaforme online di dimensioni molto grandi, come il ricorso allo shadowbanning, non dovrebbe essere considerato conforme al principio di proporzionalità», si legge nel testo dell’emendamento presentato al Parlamento Europeo. Di fatto, dunque, si chiede che le piattaforme online (anche i social) non proseguano con l’attività di shadow ban. Di cosa si tratta? Si tratta di una pratica messa in atto su diverse piattaforme che possono decidere di sospendere alla pubblicazione (o limitare i contenuti) a quegli utenti che, tra le tante cose, fanno disinformazione (e con la pandemia questo fenomeno è aumentato a dismisura) o si macchiano di odio online (razzista, xeonofobo, ideologico, omofobo). Ma la Lega e il partito di estrema destra tedesca vogliono che i social, in particolare, lasciano le bufale libere di circolare nel verde pascolo della rete. Ovviamente, questo emendamento sarà discusso e sarà messo al voto.

Shadow ban, l’emendamento della Lega al Parlamento UE

Ma c’è anche altro. Perché i due europarlamentari del Gruppo I.D., non hanno chiesto solamente di rimuovere lo shadow ban in quanto non «conforme al principio di proporzionalità», ma chiedono – con un ulteriore emendamento – anche altro. In particolare vanno a toccare l’articolo 12 della proposta di modifica del regolamento relativo a un mercato unico dei servizi digitali (legge sui servizi digitali) e che modifica la direttiva 2000/31/CE. E lo fa chiedendo l’inserimento di -bis al paragrafo 2 del suddetto articolo che, attualmente, recita nella sua interezza:

«I prestatori di servizi intermediari includono nelle loro condizioni generali informazioni sulle restrizioni che impongono in relazione all’uso dei loro servizi per quanto riguarda le informazioni fornite dai destinatari del servizio. Tali informazioni riguardano tra l’altro le politiche, le procedure, le misure e gli strumenti utilizzati ai fini della moderazione dei contenuti, compresi il processo decisionale algoritmico e la verifica umana. Sono redatte in un linguaggio chiaro e privo di ambiguità e sono disponibili al pubblico in un formato facilmente accessibile. I prestatori di servizi intermediari agiscono in modo diligente, obiettivo e proporzionato nell’applicare e far rispettare le restrizioni di cui al paragrafo 1, tenendo debitamente conto dei diritti e degli interessi legittimi di tutte le parti coinvolte, compresi i diritti fondamentali applicabili dei destinatari del servizio sanciti dalla Carta».

E la modifica richiesta è la seguente.

«2 bis. Condizioni generali che siano in contraddizione con i diritti fondamentali, in particolare con la libertà di espressione, non saranno vincolanti per i destinatari». Si torna, dunque, a parlare – anche se in vesti differenti – di Shadow Ban. Leggendo questo emendamento, qualora fosse approvato le piattaforme non potrebbero più prendere provvedimenti nei confronti dei diffusori seriali di fake news. Mentre per i reati d’odio si dovrebbe attendere l’intervento delle forze dell’ordine, senza che i social (in questo caso) siano liberi di silenziare chi si macchia di discriminazione (di ogni tipo). In nome della “libertà di pensiero”.

(foto IPP/Ep)

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