Più costi che benefici: il ruolo del digitale nella crisi della “corrispondenza”

Oltre alla compensazione da parte dello Stato, i dati sulla corrispondenza fanno capire che quel tipo di servizio è diventato ormai obsoleto

01/10/2024 di Enzo Boldi

Sempre meno persone si recano presso i 13mila sportelli – diffusi su tutto il territorio italiano – per spedire lettere, raccomandate, pacchi di piccole e grandi dimensioni e pagare i bollettini. Una percentuale, oramai, residuale rispetto a tutte le altre attività di Poste Italiane. Sono questi i motivi che stanno spingendo l’azienda – sempre in attesa dell’ennesimo passo verso la privatizzazione, con un lento disimpegno da parte dello Stato – ad abbandonare la strada dei cosiddetti “servizi postali universali” che, fino alla fine del 2024 (con proroga automatica fino ad aprile 2026) vengono erogati – come previsto da contratto pubblico – proprio da Poste Italiane.

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Negli uffici postali continuano a esserci lunghe code, ma appare evidente che la maggior parte dei cittadini si rivolga agli sportelli non per la corrispondenza “tradizionale” (ovvero il core business di Poste italiane fin dalla sua nascita nel lontano 1862), ma per una moltitudine di altri servizi. E anche il pagamento dei bollettini non è più una delle attività principali in quegli stessi uffici. Con il passare degli anni, infatti, il mercato a cui si rivolge l’azienda è molto più variegato, comprendendo servizi assicurativi, di telecomunicazione e finanziari.

Servizi postali universali, perché non convengono più a Poste

Per tutto il resto, infatti, c’è il digitale. Per evitare le lunghe code e i costi, gli italiani (ove possibile) preferiscono inviare una PEC (Posta elettronica certificata) rispetto a una raccomandata. Stesso discorso vale per il pagamento dei bollettini (non solo quelli relativi alla Pubblica Amministrazione) che sono stati sostituiti dai pagamenti digitali attraverso C-Bill e altre soluzioni simili. Ed ecco spiegato, anche attraverso le parole dell’amministratore delegato di Poste italiane Matteo Del Fante in audizione alla Commissione Trasporti alla Camera dei deputati, l’obiettivo del disimpegno (alla scadenza dell’attuale contratto) dai servizi postali universali.

«Noi siamo strutturalmente sotto compensati da 10 anni per i servizi che facciamo: l’azienda ha una percentuale ormai ampiamente inferiore al 10% di attività negli uffici dovuti al servizio universale, ormai stiamo andando verso il 5%».

I costi, dunque, sono superiori ai benefici. Lo stesso Del Fante ha spiegato che il costo del lavoro dell’azienda è pari a 6 miliardi di euro e rimuovendo i cosiddetti “postini”, questa cifra si dimezzerebbe, andando a toccare i 3 miliardi di euro. Parole che sono propedeutiche a ciò che potrebbe accadere alla scadenza del contratto ad aprile del 2026: moltissimi dipendenti di Poste saranno licenziati. Altrimenti il costo del lavoro non scenderebbe. Dunque, siamo vicini a una scelta epocale per l’azienda (in attesa di capire come proseguiranno i piani del governo Meloni per la privatizzazione) e per l’Italia.

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