I materiali pubblicati sui social che sono stati già usati per vicende legali

Dai casi delle immagini su Google Earth, fino alle chat sequestrate su Telegram: quando le piattaoforme possono diventare un problema

16/03/2023 di Redazione Giornalettismo

Lo ricordiamo tutti con un certo fastidio e anche con un certo imbarazzo per i contenuti che siamo stati progressivamente abituati a fronteggiare. Le chat no-vax, durante il periodo della pandemia prima e della progressiva ripresa con il green pass poi, proliferavano in maniera copiosa su Telegram. Fino a quando, però, si trattava di messaggi astratti, che non coinvolgevano in alcun modo l’incolumità fisica delle persone, ognuno era libero di credere un po’ a ciò che voleva. Quando però le chat venivano organizzate per diffondere dati personali, indirizzi di casa, numeri di telefono per recapitare minacce e attacchi diretti, allora si iniziavano a configurare dei possibili reati che richiedevano l’intervento delle forze dell’ordine. Ma non è il solo esempio di materiali che hanno portato a sequestri sulle piattaforme social.

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Sequestri sulle piattaforme social, quali sono i precedenti

A settembre del 2o21, la procura di Torino aveva disposto il sequestro della chat di Telegram Basta dittatura incontrando, tuttavia, una resistenza abbastanza forte da parte del servizio di messaggistica istantanea di Pavel Durov. Soltanto l’intervento diretto del founder del servizio aveva spinto alla collaborazione con i magistrati. Tuttavia, quello che è successo al video di Gabriele Vagnato – con il tribunale del riesame che ha confermato il sequestro preventivo di un video in attesa della chiusura delle indagini dopo una querela per diffamazione -, continua a essere un unicum a livello italiano, proprio per la tipologia di azione che è stata portata avanti.

Perché supera una teoria che, in alcuni casi, ha fatto da scudo a tentativi di bloccare alcuni contenuti che circolavano sui social network (si pensi anche al caso delle pagine Facebook di Casapound, bloccate da Meta, riammesse – prima – da un tribunale italiano e – infine – di nuovo bloccate dopo una nuova sentenza: tuttavia, a scatenare questo blocco è stata una iniziativa privata della piattaforma e non un’inchiesta giudiziaria). La teoria a cui facevamo riferimento è quella relativa al fatto che il sequestro preventivo del materiale multimediale è legittimo solo se fondato su un’effettiva necessità, comunque in maniera commisurata alla libertà d’espressione prevista dall’articolo 21 della Costituzione. È questa la linea difensiva che, in questi casi, viene portata avanti ed è stata anche questa l’opposizione, in primo luogo, di Gabriele Vagnato nel caso del sequestro preventivo del video su YouTube.

A volte – ma non stiamo parlando della fattispecie dei sequestri, quanto dell’utilizzo di una prova all’interno di un procedimento giudiziario – anche i fotogrammi postati sulle piattaforme utili alla geolocalizzazione (come Google Maps e Google Earth) possono essere ammessi come documenti di supporto. La sentenza 39087 del 17 ottobre 2022 della Corte di Cassazione ha stabilito, ad esempio, che in materia di abusivismo edilizio anche un fotogramma di Google Earth possa essere considerato come prove documentali pienamente utilizzabili.

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