La sQuola 19

Siamo riusciti ad andare avanti, con una scarpa e una ciabatta, nella direzione più compromessa

16/09/2020 di Matteo Forte

Mi sento in colpa per come siamo arrivati a considerare una scuola questa scuola e per come siamo arrivati a richiamare a noi un equilibrio – nel massimo bene comune. Siamo riusciti ad andare avanti, con una scarpa e una ciabatta, nella direzione più compromessa. Nessuna rivoluzione, nessun cambio di passo: adeguamento al contesto facendo tutti scontenti e tutti contenti.

Proprio mentre scrivo, una grande personalità mi ha insegnato che in ogni trattativa è necessario che siano tutti un po’ scontenti e un po’ tutti contenti. In una trattativa è necessario affinché non vi siano forze vincenti a tutti i costi: equilibrio, diceva.

Nessuna rivoluzione, nessun cambio, nessun dopoguerra su cui sperare. Una lenta agonia o il peggio deve ancora arrivare? Sicuramente la scuola gioca un ruolo fondamentale in tutto questo perché, dopo il turismo a tutti i costi e la voglia di sole, ci confrontiamo con il primo vero impegno istituzionale in epoca pandemica. Un impegno che è stato gestito in maniera dorotea, a mio avviso, che tutela un mondo grande e variegato senza particolare spostamento dell’attenzione verso gli utenti finali (gli studenti).

Scuola, riflessioni sulla ripartenza

Banchi distanziati, maestre severissime con le procedure d’igiene (ma guarda un po’, fino all’anno scorso non così enfatizzate), sacchi dove mettere gli zaini, materiale didattico monouso, mascherine dolcissime per bambini, gel (tanto gel), distanziamento e ricreazione contingentata.

Vi ricordate quando andavate a scuola? A nessuno piaceva imparare le cose, se non in rari casi. A tutti noi piaceva la socialità della scuola: lo scuolabus, la lotta all’insubordinazione, la mignottata al compagno secchione che non ci passava il compito, etc etc. Immaginiamoci quindi una scuola senza la parte che ci piaceva di più e con solo la didattica rompipalle.

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Nessuna rivoluzione, nessun cambio, nessun segno di volontà di mettersi in discussione. Un modo, ancora una volta, per non pensare all’aspetto umano di chi deve vivere una vita, un obbligo in questo periodo di complessità globale. Nessuna piattaforma di e-learning funzionante, stabile e sicura. Nessuna formazione estiva agli insegnanti per saper usare un device mobile senza danni. Nessun intervento educativo per evitare di parlare di scuola su Whatsapp nei vari gruppi di deviazione. Nessuna lotta alle fake news nei protocolli. Niente cose pratiche da far fare ai bambini, limitandoli, sbattendosene e cercando di accontentare un po’ tutti (presidi, insegnanti, mamme e lavoro, diritti inferiori a questo).

Le discussioni ataviche

Un anno fa discutevamo sul vaccino al morbillo e oggi il distanziamento eviterà pure il morbillo stesso, con buona pace di chi vuole lottare con la natura a posteriori del nostro continuo disavanzo. Un anno fa discutevamo di ridurre i costi e oggi discutiamo su come spendere i soldi che ci prestano gratis.

Non c’è papà o mamma oggi che non possa essere preoccupato per un periodo incerto, fatto di equilibri drogati che ancora non abbiamo messo a fuoco. Non c’è mamma o papà oggi che riesca a vedere serenamente questo percorso: faremo tutti tanti tamponi quest’anno, teneri nasi di bimbi arrossati, e tanta ansia: ansia da Covid, ansia da margine di errore, ansia da lockdown, ansia da come andrà domani, ansia da scelta giusta. Ansia che riverseremo sui figli, sul lavoro, sui social (il prossimo articolo si chiamerà Distanziamento social, proprio ora).

Ansia, sarà la parola di questo inverno, codardia di un momento che non ammette rivoluzioni ma solo adeguamento ad un mondo che non tornerà mai più.

(foto di copertina: da Pixabay)

 

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