Sala dice che quello che facciamo “non è smart working” e che è preoccupato per il futuro

Dopo le polemiche dei mesi scorsi, il sindaco di Milano torna sullo smart working e le parole, ancora una volta, non sono concilianti

16/09/2020 di Daniele Tempera

Qualche mese fa una sua frase: “Basta smart working è giunto il momento di tornare a lavorare” aveva suscitato un vespaio di polemiche che non si sono ancora sopite. Giuseppe Sala, sindaco di Milano, lamentava del crescente svuotamento della città meneghina come effetto del lockdown con le prevedibili ripercussioni economiche che questa dinamica comporta. Per Sala sarebbero stati molti i lavoratori che si sarebbero trovati senza lavoro al termine di questo periodo di pandemia e di allontanamento dagli uffici. Ora il primo cittadino milanese ha deciso di ritornare sull’argomento, ma le sue parole verso il cosiddetto “smart working” non sono, ancora una volta, concilianti, né entusiaste.

«Non voglio tornare su quella frase che è stata un po’ infelice. I consumi sono in discesa e sarà così per un periodo abbastanza lungo. Le aziende sono ciniche, per così dire, e dovranno trovare formule per ridurre i costi, stanno iniziando con gli spazi e a Milano è evidente ma il rischio è che segua il personale. Bisogna intendersi su quale è il loro progetto. Da da sindaco sono preoccupato se vedo sbarrata una torre che può ospitare fino a 2-3 mila dipendenti» ha dichiarato Sala durante la presentazione del libro di Marco Bentivogli, dando poi un ulteriore stoccata alle definizioni “facili” di smart working.  «Il punto fondamentale è che lo smartworking nasce da un impresa e dipendente che nasce dal risultato che viene portato a casa. Di fatto non è così, c’è un controllo sul fatto, ad esempio, che tu stia al pc o meno, al telefono o meno, quindi parliamo d’altro. Di fatto non è smart working quello che facciamo oggi».  Parole che, c’è da giurare, non sono destinate a passare inosservate.

 

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