Sacchetti di plastica per frutta e verdura a pagamento: bufale, precisazioni e decisioni ancora da prendere
04/01/2018 di Gianmichele Laino
Sui sacchetti di plastica a pagamento per frutta e verdura è stato scritto quasi di tutto. La misura, che è entrata in vigore dal 1° gennaio 2018, è stata oggetto di attacchi, di bufale sapientemente costruite per scopi elettorali, di vox populi e di tante cose non dette che hanno contribuito a creare non poca confusione sul tema. Proviamo a riordinare le idee e a mettere in fila tutti i dubbi di chi, magari tra qualche minuto, si appresta a uscire per fare la spesa e per acquistare la sua razione quotidiana di mele e broccoli sfusi.
SACCHETTI DI PLASTICA, PERCHÉ QUESTA LEGGE?
Di cosa stiamo parlando quando affrontiamo il tema dei sacchetti di plastica a pagamento? Si tratta di una legge, approvata lo scorso 3 agosto 2017 (in un emendamento infilato all’interno del Dl Mezzogiorno) e che recepisce una direttiva europea (la 2015/270) sull’utilizzo degli imballaggi in plastica. Si tratta di una misura che dovrebbe incentivare al riciclo e al riutilizzo di materiali potenzialmente inquinanti, limitandone fortemente l’uso. Tuttavia, la scelta di imporre un costo a carico del cliente dei supermercati è una scelta – la più rapida da attuare – che è stata fatta proprio dal governo italiano. La direttiva europea, in quanto tale, stabilisce soltanto l’obiettivo da raggiungere (il limite di 90 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2019 e di 40 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2025), ma non le modalità attraverso cui questo obiettivo viene raggiunto. Dunque, l’Italia avrebbe potuto impiegare anche altre formule (non necessariamente a carico del cliente) per poter toccare la soglia prevista dall’Europa.
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SACCHETTI DI PLASTICA E L’AMICA DI RENZI
La notizia dei sacchetti di plastica a pagamento, in ogni caso, è stata utilizzata anche da qualche simpatizzante dell’opposizione per diffondere notizie false in ottica elettorale. Interpretando un articolo comparso qualche giorno fa su Il Giornale, qualche buontempone ha diffuso via social network la bufala dell’«amica di Renzi che è l’unica a produrre i sacchetti di plastica biodegradabili». Il riferimento è a Catia Bastioli, amministratore delegato dell’azienda Novamont, grosso player del settore. Vicina a Matteo Renzi (è intervenuta, per esempio, nel corso della Leopolda 2011) è stata individuata come «ispiratrice della legge». Ma la Novamont, per quanto il suo mercato sia ampio, non è una sorta di monopolista dei sacchetti di plastica eco-sostenibile. Come dichiarato al Fatto Quotidiano da Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, oggi ci sono almeno dieci diverse aziende chimiche attive a livello mondiale che operano in Italia. E quelle che operano all’interno dei confini nazionali sono senz’altro più di 100, per un totale di 4mila dipendenti e di 350 milioni di fatturato. Insomma, nessun conflitto di interessi. Per una volta.
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SACCHETTI DI PLASTICA IL RIUTILIZZO DELLE BUSTE E IL COSTO TOTALE DELL’OPERAZIONE
Inesattezze hanno riguardato anche il riutilizzo di questi sacchetti di plastica biodegradabile. A questo proposito, era attesa maggiore chiarezza da parte del ministero della Salute (che ha valutato gli aspetti igienico-sanitari con un suo parere) sulla circolare del Ministero dello sviluppo economico del 7 dicembre 2017 che aveva ammesso la possibilità di usare borse riutilizzabili. Oggi, è arrivata la risposta del segretario generale del ministero della Salute Giuseppe Ruocco: i sacchetti non potranno essere riutilizzati perché sussiste un rischio di eventuali contaminazioni. Tuttavia aggiunge: «Non siamo contrari al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti». L’idoneità di questi ultimi, introdotti all’interno dell’esercizio commerciale, sarà valutata dal titolare dell’esercizio stesso. Insomma, uno spiraglio per aggirare il costo dei sacchetti biodegradabili per frutta e verdura.
A proposito di costi, poi, occorre fare un’altra precisazione. Il rincaro nelle tasche degli italiani si aggirerà intorno ai 3 euro all’anno. E anche su questa cifra si può discutere. Le grandi catene di distribuzione, infatti, si sono orientate per far pagare i sacchetti di plastica 1 o 2 centesimi, mentre ci troveremmo di fronte a speculazioni se pagassimo più di 5 centesimi. Se contiamo che questi sacchetti possono anche essere utilizzati per la raccolta dell’umido (normalmente le buste per la differenziata vanno acquistate), possiamo detrarre dalla somma annuale anche quella che utilizzeremmo per comprare proprio i sacchetti dell’umido. Insomma, i rincari sono ben altri.
Un consiglio, infine. Non serve pesare arance, mele o altri articoli a uno a uno. Nei supermercati della grande distribuzione, infatti, il costo del sacchetto viene incluso e conteggiato automaticamente dalle bilance elettroniche: se non si vuole correre il rischio di pagare più volte, bisognerebbe evitare questa pratica.