Come ha risposto Lancel (e perché sta sbagliando approccio al problema)
L'azienda è stata contattata dalla nostra redazione: ha confermato la nostra ricostruzione, ma poi ha scelto di prendersela con Linkedin
06/09/2024 di Gianmichele Laino
Abbiamo parlato, in apertura di monografico, di tentativi – che potrebbero aver riguardato diversi soggetti – di utilizzare il noto brand di moda di lusso Lancel per attirare agenzie di marketing in una sorta di trappola per dati personali e informazioni sensibili. Inevitabile, a questo punto, chiedere il parere e l’opinione del brand francese, suo malgrado vittima di questa vicenda. Giornalettismo ha ottenuto una risposta per confermare la sua storia, ma – nonostante la proposta di un’intervista – da Lancel hanno preferito, per ora, non approfondire il problema. Resta inteso che Giornalettismo sarà sempre a disposizione per raccogliere eventuali dichiarazioni. Innanzitutto, dicevamo, la conferma.
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La risposta di Lancel
La posizione di Lancel è la seguente: «Confermiamo che la persona che vi ha contattato non fa parte del team marketing di Lancel e che non abbiamo avviato noi questa richiesta. Contatteremo LinkedIn per informarli di questo tentativo di contatto fraudolento. Ci scusiamo per l’inconveniente e vi ringraziamo per averci avvisato». Dunque, mentre si prende atto del problema di un tentativo di truffa che sfrutta il brand Lancel, allo stesso tempo si cerca di chiedere a LinkedIn di risolvere il problema stesso. Che è un po’ come guardare il dito quando si indica la luna.
Se avessimo avuto modo di intervistare Lancel, avremmo evidenziato questo aspetto: sicuramente – come abbiamo scritto in un altro articolo del nostro monografico di oggi – su LinkedIn stanno proliferando truffe di diverso tipo e ciò è dovuto al meccanismo di funzionamento stesso del social network professionale. Chiunque, infatti, può dire di lavorare per una determinata azienda (senza necessità di verifica) e di contattare terze persone utilizzando un falso titolo professionale. Tuttavia, il grande brand non può non prendere delle contromisure preventive rispetto a tutto ciò.
Occorrerebbe, infatti, effettuare una continua scansione dei profili collegati alle aziende in questione per assicurarsi che nessuno stia utilizzando impropriamente il brand. Così come sarebbe opportuno indicare delle policies aziendali per i dipendenti, affinché possano limitare al massimo le informazioni aziendali condivise pubblicamente. Questa è igiene digitale e prevenzione.
Nel caso in specie, infatti, sono state diverse le informazioni utilizzate dallo scammer che potevano essere facilmente accessibili e disponibili pubblicamente: nome, qualifica e foto della dipendente di Lancel (utilizzati e poi rimossi nella firma della mail che ha raggiunto l’agenzia di marketing); ma anche video e immagini pubblicate sui social network e proposti come materiali per il brief. Sarebbe stato opportuno, per l’azienda, approfondire anche la tipologia di materiale condiviso con l’agenzia di marketing (stiamo parlando di un PPT di presentazione di Lancel e di una presunta analisi di mercato), per capire se le informazioni contenute al loro interno sono state frutto di un leak dall’interno o se si tratta semplicemente di materiale posticcio, messo insieme dallo scammer per rafforzare la sua credibilità. Quando ci si trova di fronte a questi fenomeni, infatti, non bisogna liquidarli in maniera superficiale: bisognerebbe capire che, se si prende questa deriva, sarà sempre più difficile capire cosa è verità e cosa è rappresentazione.