Storia di come L’Europa stia lavorando per costruire un sistema internazionale di riconoscimento facciale

Categorie: Attualità

Nonostante tutte le contestazioni del passato più o meno recente, i legislatori stanno approntando una modernizzazione delle forse di Polizia. Il tutto includerebbe la condivisione (tra i diversi Paesi) anche di immagini e volti

L’evoluzione tecnologica e il continuo avanzamento dell’intelligenza artificiale nella vita delle persone stanno cambiando il modo di percepire la realtà. Oggi e gadget di ultima generazioni, innovazioni digitali che si basano su principi sconosciuti fino a qualche anno fa. Ma, come spesso accade e come insegna la storia, tutto ciò comporta anche dei lati oscuri su cui è necessario fermarsi a dibattere prima di farli diventare parte integrante della quotidianità. Da anni, per esempio, si dibatte sui limiti del riconoscimento facciale nei luoghi pubblici – o rilevazioni biometriche -, soprattutto legato ad attività di Polizia. In Italia è stata presentata, e approvata, una moratoria (a firma Filippo Sensi) che chiede un’ampio spazio di riflessione prima di legiferare e dare il via libera a questa dinamica. Ma in Europa sembra che si voglia correre in un’altra direzione.



LEGGI ANCHE > L’Ucraina sta utilizzando il riconoscimento facciale per identificare i soldati russi morti e informare le loro famiglie

Come riporta Wired, dal dicembre dello scorso anno la Commissione Europea ha aperto a un nuova normativa internazionale (che ancora non è stata approvata) che risponde al nome di “modernizzazione” della Polizia. Si tratta, in sintesi, della collaborazione tra le forze dell’ordine dei diversi Paesi per rintracciare persone ricercate. Una sorta di Interpol che, però, si basa sul concetto di modernità, senza confini. Perché tutto si basa su un regolamento già approvato nel 2005 (Prüm) che sarà rinnovato con il Prüm II. Almeno nelle intenzioni indicate dalla Commissione UE.



Riconoscimento facciale, il piano internazionale dell’Europa

Nel testo della proposta – che rientra nell’ambito della collaborazione internazionale tra le forze di Polizia – non si parla di riconoscimento facciale e intelligenza artificiale. Ma l’origine di questo collegamento arriva dalla prima versione di Prüm, quella che prevede «lo scambio automatizzato di dati relativi al DNA, alle impronte digitali e all’immatricolazione dei veicoli si è rivelato uno strumento prezioso per le autorità di contrasto per prevenire e indagare i reati». Collaborazione strategica e scambio di dati, attraverso i rilevamenti biometrici retrospettivi. Questo vuol dire che ogni Paese che aderirà potrà accedere a un router centrale (e non un database) internazionale in cui sono presenti tutti i dati relativi ai cittadini.

La Commissione ha spiegato che non ci sarà un confronto e una corrispondenza con le immagini della popolazione comune, ma questo è proprio l’aspetto più oscuro che da anni si dibatte non solamente in Europa. Perché i “match” non corrispondono sempre al 100% (sono diversi i casi, soprattutto negli Stati Uniti, di errori da parte dell’intelligenza artificiale) e perché la sicurezza che le immagini – che possono essere prese dalle telecamere di sicurezza e confrontate con i social network e altre risorse “personali” presenti sul web (e non solo) – non rappresentino una violazione della privacy è tuttora da accertare. Anzi, i garanti per la protezione dei dati personali di vari Paesi hanno più volte redarguito gli Stati che seguono questa dinamica.



Milioni di immagini

E i numeri sono impietosi e nel sistema attuale fanno sorgere ancora più dubbi. Wired riporta le cifre contenute all’interno dei documenti allegati al progetto Prüm II, relativi alle immagini presenti negli archivi delle forze dell’ordine di diversi Paesi dell’Unione Europea: 17 milioni solamente in Italia, 30 milioni in Ungheria, 6 milioni in Francia e 5,5 milioni e mezzo in Germania. Volti immortalati da telecamere di sicurezza e non solo che, qualora passasse quella riforma per la “modernizzazione” delle forze di Polizia, finirebbe all’interno di un sistema accessibile a livello internazionale, seppur più aleatorio di un database. Un progetto che, però, andrebbe contro a tutte quelle indicazioni già indicate in passato e a quelle contestazioni mai risolte sugli standard di sicurezza e il possibile superamento del confine della privacy di ogni singolo cittadino.