Ricercatori italiani e inglesi: carriere a confronto
07/05/2008 di Maddalena Balacco
Scienza e tecnica sono il cuore dell’innovazione per il futuro? Vediamo come la pensano due fra i più importanti paesi europei, intervistando giovani dottorandi che hanno deciso di studiare per lavoro.
(I due ricercatori hanno preferito mantenere l’anonimato; le voci che ascoltate non appartengono a loro)
Di seguito, il testo dell’intervista
D: Nome?
S: Stefano
F: Fabrizio
D: Che cosa fai nella vita?
S: Sono un assegnista di ricerca, dopo aver completato il dottorato di ricerca.
F: Faccio il dottorato di ricerca in Neuroscienze in Inghilterra o Ph.D. (Doctor of Philosophy, in inglese)
D: Descrivete la vostra giornata di lavoro
S: Allora. I primi momenti della giornata se ne vanno per le email e l’informazione, sia d’attualità che scientifica. Poi dipende dal periodo dell’anno: in certi frangenti si sta al computer tutto il giorno a studiare e a scrivere lavori per la pubblicazione, in altri si deve necessariamente stare in laboratorio. In più, se si lavora all’Università ci sono da preparare lezioni ed esercitazioni. Mediamente poi c’è la sana ora e mezza di burocrazia varia da sbrigare. Difficile conciliare la ricerca con le scartoffie.
F:Mi alzo al mattino e guardo la finestra: in genere piove o ci sono nuvole grigie che incombono sulla città. Inforco la sella della bici smadonnando ad ogni metro per l’acqua che ti entra dappertutto. La giornata nel laboratorio incomincia preparando le soluzioni per gli esperimenti che dureranno tutto il giorno. L’analisi dei dati avviene a fine giornata o il fine settimana e la cosa può durare giorni davanti al PC. Durante la settimana ci sono seminari, lab meetings, journal clubs e saltuarialmente preparo il materiale per i tutoraggi.
D: Quanto tempo avete studiato per diventare ricercatori?
S: Se fai i conti di tutti gli anni scolastici, università e dottorato sono 21. Ma nel nostro lavoro non si finisce mai di studiare, lo si fa tutti giorni.
F: Se penso che ho studiato per 21 anni della mia vita senza mai fermarmi per arrivare fino a qui mi viene il mal di testa. Ogni giorno penso: dopo questo Ph.D. mi prendo un anno sabbatico.
D: Quanto prendete al mese?
S: Da dottorando prendevo 800 euro, ora da assegnista sono passato a 1200 euro al mese. Zero contributi. Dodici mensilità secche.
F: I dottorandi di ricerca britannici prendono intorno alle 12,600 sterline all’anno, quindi 1350 euro al mese circa senza alcuna tassa universitaria.
D: Ci campate?
F: Sì. Non mi posso lamentare. In Inghilterra gli studenti Ph.D. sono esentati dalla Council Tax, la tassa comunale. Per tutta la durata del dottorato in pratica non si pagano tasse, quindi le uniche spese sono quelle dell’affitto e per mangiare. Quasi nessuno possiede un’automobile e ci si sposta in bici o con mezzi pubblici.
D: Sono previsti “scatti d’anzianità”, aumenti, miglioramenti sotto il profilo economico, bonus, premi etc?
S: In realtà è previsto che non puoi avere borse di dottorato o assegni di ricerca per più di otto anni. Poi devi cambiare contratto (in un CO.CO.PRO ad esempio). Non mi pare un meccanismo di premio all’anzianità (e quindi alla conoscenza che si presume cresca con gli anni).
F: Il Ph.D. è un contratto di tre anni scaduti i quali non ti pagano più e devi sperare di riuscire a scrivere la tesi in tempo. Si può arrotondare lo stipendio con tutoraggi, lezioni e vigilanza agli esami. In Inghilterra qualsiasi cosa si faccia si viene pagati: la schiavitù qui è stata abolita 150 anni fa.
D: Come è considerata nella società in cui vivete la figura del ricercatore?
S: Ti dirò: a casa mia sono l’unico laureato, quindi in famiglia sono considerato “quello che ha studiato” ma non vale. Con gli amici e la società con la quale tutti i giorni mi rapporto il giudizio è controverso: da un alto rappresenti il futuro (per quelli sensibili) e ti rispettano. Per gli altri se solo uno che non produce ma consuma e parecchio. Una mignatta.
F: Il dottorato di ricerca britannico rappresenta un titolo prestigioso e spesso indispensabile per una carriera accademica. E’ più importante della laurea (bachelor degree) e al contrario dell’Italia solo dopo essersi dottorati ci si può definire “dottori”. In genere le persone non addette ai lavori hanno alta considerazione e rispetto per chi ha scelto di fare il Ph.D. ma all’interno dell’ambiente accademico si è considerati a metà tra uno studente ed un ricercatore, quindi solo all’inizio della carriera. Ma ciò non significa scarsa considerazione o rispetto: anzi proprio perché si è “novellini” si viene trattati spesso coi guanti.
D: Tutti e due avete una esperienza come dottorandi di ricerca: che risorse dedicano Italia e UK alla questione?
S: Dipende molto dalla fortuna: se ci si trova in una struttura con un background adeguato alle spalle e, soprattutto, con finanziamenti non sporadici, si può fare ricerca ad alto livello.
Non è un caso però che molte delle persone che sono state all’estero vogliano tornarci. Mai sentito parlare di fuga dei cervelli?
F: Il Ph.D. in Gran Bretagna e’ indispensabile per una formazione adeguata nel mondo della ricerca (specialmente nei campi scientifici). L’universita’ dispone di fondi e risorse ingenti per la formazione, retribuzione e per la ricerca stessa del singolo Ph.D.
D: Come si diventa dottorandi?
S: Per concorso. Il che dovrebbe garantire sulla carta che le persone scelte siano valide – almeno per il metodo di selezione usato – ma non sempre funziona. Preferirei il “colloquio” e la seguente responsabilizzazione di chi assume.
F: Per colloquio. Il che dovrebbe garantire che le persone scelte siano valide e non attraverso concorsi truccati come in molte universita’ italiane. Se poi il professore ha sbagliato scegliendo un candidato non idoneo la responsabilita’ e’ solo sua. Il sistema e’ costruito in modo tale che chi assume e’ spinto a scegliere il candidato migliore che possa garantirgli una buona ricerca, altrimenti vedra’ diminuirsi i soldi che gli arrivano dai grants.
D: Dopo il dottorato cosa si fa?
S: Alcuni scelgono di andare all’estero per un cosiddetto PostDoc. Chi rimane ha l’equivalente assegno di ricerca. I fondi di ricerca per giovani ricercatori sono dovrebbero essere potenziati e liberati da logiche non proprio trasparenti. Dettaglio interessante per capire la considerazione della quale godono gli assegnisti: devi farti l’assicurazione per gli infortuni – obbligatoria per firmare il contratto – non coperti dall’istituzione che ti assume.
F: PostDoc nello stesso laboratorio o in un altro di un’altra citta’, o all’estero (USA). La mobilita’ e’ una caratteristica fondamentale del britannico: non c’e’ nessun problema a trasferirsi in altre citta’. Spesso si preferisce ottenere il Ph.D. in UK e poi il PostDoc in USA.
D: Quali sono i problemi più evidenti della ricerca in Italia e in Inghilterra?
S: La cosa che personalmente sento di più è l’assoluta solitudine dal punto di vista logistico.
Muore il computer? Lo aggiusti da solo e devi trovarti ovviamente anche il software. Hai problemi burocratici ed economici? Fai prima a studiarti la normativa che a chiedere una mano all’amministrazione. Un altro problema che sento parecchio è la mancanza di fondi, non tanto per la retribuzione (sia chiaro che farebbe piacere anche quella eh!!!), ma per la ricerca. A volte si sta fermi mesi perché i soldi son finiti e non ci si può permettere il tal reagente o la tal macchina. Purtroppo la ricerca costa moltissimo, anche se non produce nulla di immediatamente tangibile come – chessò – un bullone.
F: I problemi della ricerca in Italia sono le mafie interne, le baronie, i parenti dei professori che sono sempre tanti e bisognosi di lavoro, la malafede nella ricerca vera e propria (gonfiare o falsare dati). E poi il problema più grande: cioè i fondi alla ricerca. Quindi un problema politico. Le cifre dell’Italia sono ridicole: lo 0,8% del PIL contro l’1,6% di media europea.
Problemi della ricerca in Inghilterra?
Mmm… fatemi pensare un secondo.
D: E quali potrebbero essere le soluzioni?
S: Risolvere i conflitti di interessi tra le figure che prendono parte al processo “ricerca”: più soldi gli amministrativi su base progetti approvati dalla parte docente. Ora come ora c’è una sostanziale rigidità nel meccanismo: un progetto porta lavoro per tutti, ma chi è a reddito fisso non è stimolato a metterci più impegno. In questo modo, chi lavora di più prende più soldi.
Secondo, si dovrebbe cancellare il concorso: mi piacerebbe che si diventasse ricercatori o dottorandi per colloquio, con un presa di responsabilità a livello dirigenziale. Questo potrebbe mettere fine al clientelismo fine a se stesso. Terzo, si dovrebbe finanziare realmente la ricerca e in particolare i giovani ricercatori semplificando l’accesso e gli adempimenti burocratici. Non è possibile compilare 4 moduli per una Bic.
F: Le soluzioni per l’Italia? Semplice: assumere al ministero dell’università, ai rettorati universitari e ai vertici dei laboratori scienziati stranieri. La mafia si combatte solo dall’esterno.
Per quanto riguarda l’Inghilterra… mmm… ci sto ancora pensando.
D: E tu, come vedi la tua vita tra vent’anni?
S: Vent’anni. Mamma mia che orizzonte temporale lungo. Di solito per non avvelenarmi il sangue non penso più in là di due settimane ed a volte è oltre modo frustrante. Il sogno è quello di dirigere una piccola, ma cazzuta, unità di ricerca. Non so se all’estero o in Italia. A dispetto del bisogno attuale di emigrare però, mi vedo in Italia. Sperando che almeno qualcosa sia cambiato e che si possa fare il ricercatore e basta, e non impersonare alla bisogna tutta quella serie di figure intermedie che distolgono dall’obiettivo primario.
F: Fra vent’anni ne avrò 47. La verità? Non lo so. Da quando sono all’estero ho imparato a non fare piani per il futuro a lungo termine. Vivo alla giornata. Quello che verrà verrà.
Se rimarrò ancora all’estero avrò un ottimo lavoro, una bella casa, una carriera.
Se tornerò in Italia potrò puntare ad un posto come ricercatore a contratto temporaneo, entrare nelle grazie del solito vecchio barone, aspettare per anni che qualcuno passi di livello o muoia. Ma anche come commesso in un supermercato. 21 anni di studio buttati dietro un bancone di salumeria. Interessante.
D: Saluta! Dì “ciao giornalettismo, sei il più bel sito web dell’universo.”
S: Ciao Giornalettismo, sei un sito un sacco figo.
F: Goodbye Giornalettismo. You are the best website of the universe. Guys you rock!
Con la collaborazione Cristian Corrini e Possend