Ricerca: così l’Italia sta perdendo il futuro. E anche per l’Occidente non ci sono buone notizie

Un report Istat, pubblicato lo scorso novembre, avvertiva che un miliardo di investimenti in ricerca e sviluppo in più, avrebbe fatto crescere il PIL più del famigerato reddito di cittadinanza. Parole cadute, come da molti anni a questa parte, nel vuoto. Già, perché gli investimenti italiani in ricerca sono nettamente inferiori di quelli della media UE.  L’obiettivo della Commissione europea per il 2020 è di arrivare a investimenti in ricerca e sviluppi pari al 3% del PIL. Una media dalla quale siamo, al momento assai lontani. L’Italia spende infatti appena l’1,35% del suo prodotto interno lordo nella ricerca, una percentuale che ci pone assai lontani da Paesi come Svezia, Austria, Danimarca o Germania, tutti sopra al 3%. Una dinamica che costringe alcune delle nostre migliori menti a emigrare e condannare il Belpaese a un lento, ma inesorabile declino.

Gli scarsi investimenti in ricerca come riflesso della nostra democrazia

Ma perché, malgrado si continua puntualmente a parlare dell’urgenza di investimenti in questo settore, tutte le speranze vengono puntualmente disattese? «Avviene principalmente per la pessima qualità della democrazia italiana che è attenta solo al medio periodo e non al lungo. O meno prosicamente, che è sempre in ostaggio di risse partitocratiche e corporative che non favoriscono gli investimenti a lungo termine» afferma il Presidente dell’Associazione Luca Coscioni Marco Cappato che aggiunge «Tutti ne parlano, c’è sicuramente attenzione, ma non avendo questi investimenti ritorni sull’immediato, non sono elettoralmente convenienti». Una dinamica si cui sembra essersi accorta anche la UE che ha fissato, non a caso, l’obiettivo per il 2020 per il nostro Paesedi portare la spesa all’1,53% del PIL. Un target che non è detto che riusciremo a raggiungere e che ha un prezzo economico evidente.

Così gli scarsi investimenti in ricerca mettono in crisi le democrazie liberali

«I mancati investimenti in ricerca sono devastanti dal punto di vista economico e purtroppo lo saranno sempre di più, perché l’incidenza della scienza e della tecnologia nella nostra vita è esponenzialmente più massiccia. Si pensi, ad esempio, alle nuove sfide della genomica o dell’intelligenza artificiale, la scienza influisce sempre più anche sulla natura umana, sono processi che vanno dritti al cuore dell’essere umano e della società e perdere questi treni avrà prezzi molto alti» ci racconta Cappato, che lancia un monito valido per tutto l’occidente e tutte le democrazie liberali perché «sono i regimi dittatoriali quello che investono di più, proprio perchè non hanno “il problema” del consenso elettorale, si pensi ad esempio agli investimenti messi in campo dalla Cina. Questa è una delle dinamiche che influisce, e influirà sempre più, sulla crisi delle democrazie liberali: c’è bisogno di un immediato cambio di passo».

Ricerca: il nodo dell’istruzione

Un problema che, nel nostro Paese, va di pari passo con il nodo dell’istruzione. L’Italia ha speso infatti appena il 3,8% del PIL nel 2017 in educazione, quasi un punto al di sotto della media UE fissata al 4,6%. Una percentuale distante, anche in questo caso anni luce da quella svedese con un investimento del 6,8% del PIL, danese o belga (rispettivamente 6,5 e 6,3% del PIL). Ma non solo: in questo settore il Belpaese riesce a far peggio anche di Grecia e Spagna, ponendosi fra i fanalini di coda dell’Unione.

E per quanto riguarda l’istruzione, il problema non sembra essere solo economico, come sottolinea Marco Cappato: «Serve un insegnamento meno nozionostico e più legato al metodo scientifico. I nostri studenti non hanno bisogno di imparare solo nozioni, ma anche un metodo logico-argomentativo, capace di dare gli strumenti decisionali e utili a interpretare la realtà, senza cedere alle menzogne. Solo così avremmo anche cittadini migliori»

 

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