Raccolta dell’umido rovinata dai sacchetti: il 43% non è compostabile
17/10/2017 di Alice Bellincioni
C’è una buona notizia: gli italiani sono sempre più attenti alla raccolta dell’umido. Peccato che a rovinarla siano spesso le buste utilizzate: il 43% non sarebbero compostabili, secondo il Consorzio italiano compositori (Cic). In gran parte è colpa dei cittadini, che trascurano l’obbligo di raccolta con sacchetti biodegradabili, ma una parte delle impurità deriva anche da quelle buste spacciate per compostabili e che in realtà non lo sono del tutto.
I dati sono stati presentati durante il convegno “Biowaste: ricerche e monitoraggi per favorire la qualità della raccolta differenziata dell’umido e della plastica”, organizzato a Milano presso la Fondazione Cariplo da Assobioplastiche, Corepla, Conai e Cic. Al di là del problema delle buste scorrette, il quadro è positivo: nel 2016 – riferisce l’AdnKronos – sono state prodotte 47.800 tonnellate di imballaggi in plastica compostabile, con un trend di crescita del 59% rispetto al 2013.
RACCOLTA DELL’UMIDO ROVINATA DAI SACCHETTI: IL 43% NON COMPOSTABILE
«La purezza media dell’umido raccolto nelle nostre città – si legge nello studio del Consorzio Italiano Compostatori – è superiore al 95%. La parte restante è costituita da materiali non compostabili, di cui oltre il 60% da plastica». La plastica rappresenta quindi il 3% circa dell’umido totale raccolto, a causa proprio dell’utilizzo dei sacchetti sbagliati. Lo studio del Cic ha permesso di quantificare la plastica e la bioplastica che transitano nel settore del compostaggio: negli impianti dedicati alla produzione del compost arrivano circa 31.000 tonnellate di bioplastica, che vengono trasformate direttamente in compost, e circa 73.500 tonnellate di plastica, che devono prima essere lavorate per separare ed estrarre i materiali con cui si può produrre compost di qualità. «Oltre a costituire un costo per gli impianti – aggiunge Alessandro Canovai, presidente Cic – questi polimeri fossili generano un effetto di trascinamento e per toglierli servono tecnologie complesse».
I DATI SULLA RACCOLTA DIFFERENZIATA DELLA PLASTICA, COMPOSTABILE E NON
Il problema è anche inverso: il 16% delle buste di bioplastica vengono erroneamente confluite nella raccolta differenziata della plastica, compromettendone il riciclo. Secondo il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) sono 7.500 tonnellate, pari a circa lo 0,85% della plastica raccolta. I dati sul riciclo degli imballaggi in plastica, compostabili e non, sono comunque positivi: regione più virtuosa il Veneto, con 25 chili raccolti per abitanti. Segue di poco la bistrattata Campania, con la stessa media della Lombardia: 18 chili a persona. Maglia nera per la Sicilia, con solo 4 chili ad abitante. Inutile prendersela solo con i cittadini, perché molto spesso la responsabilità è delle amministrazioni.
«Ogni anno noi – afferma Antonello Ciotti, presidente del Consorzio Corepla – riconosciamo ai comuni che svolgono la raccolta differenziata circa 280 milioni di euro, che servono a coprire gli extra-costi della raccolta differenziata rispetto alla raccolta normale. Un aiuto significativo che favorisce la differenziata, primo motore dell’economia circolare». Il riciclo dei rifiuti presenta molti vantaggi, non solo economici, ma anche ambientali, soprattutto, spiega Giorgio Quagliuolo, presidente di Conai, «in un Paese come il nostro, che è povero di materie prime. La raccolta differenziata non è un fine, è un mezzo. Il fine ultimo è il riciclo, quindi la raccolta differenziata deve essere fatta bene e deve essere di qualità».
Foto copertina: ANSA/ ALESSANDRO DI MEO