Perché la Russia vuole la guerra in Crimea

Perché la Russia di Putin ha deciso di scatenare la guerra in Crimea? E che rapporto c’è tra l’Ucraina ex culla dell’Unione Sovietica e la piccola penisola che tanti ruoli ha avuto in questo secolo?

PERCHE’ LA RUSSIA VUOLE LA GUERRA IN CRIMEA –  In poco più di vent’anni la penisola sul Mar Nero, parte dell’Ucraina solo dal 1954 – dopo che l’allora segretario del Pcus Nikita Krushchov la regalò alla repubblica sorella facente parte allora dell’Urss – è stata più volte teatro di tensioni. Tensioni tra e periferia, tra le istanze autonomiste e indipendentiste della maggioranza filorussa, spesso e volentieri sollecitate direttamente da Mosca, e le resistenze centraliste a cui si sono associate le ragioni della minoranza tatara musulmana.  Una cartina della penisola di Crimea, tratta da qui:

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Ma i timori dell’Unione Europea, come li racconta Sergio Romano sul Corriere della Sera di oggi, sono giustificati:

Vladimir Putin non ha abbandonato questa linea. Ha fatto la guerra cecena per impedire la nascita di uno Stato musulmano a nord del Caucaso, ma ha dato in cambio denaro e autonomia. Ha punito le aspirazioni atlantiche della Georgia con la creazione di due piccoli Stati vassalli (Abkhazia e Ossezia), ma soltanto dopo la provocazione militare di Mikhail Saakashvili. Ha cercato di impedire che l’Ucraina, insieme alla Crimea, venisse attratta verso l’Unione Europea e domani, probabilmente, verso la Nato. Ma non credo che tema il cambiamento dei confini meno di Eltsin.

Perché la Russia vuole la guerra in Crimea: la fotogallery

IL RUOLO DI PUTIN – Franco Venturini focalizza l’attenzione sul ruolo del Piccolo Zar:

Pare seguire una tattica da manuale, Vladimir Putin. Mostrarsi duro nella tutela dei compatrioti e della flotta di Crimea perché l’opinione interna russa non gli perdonerebbe una esibizione di debolezza, tanto meno in Ucraina. Lasciare però in sospeso il secondo intervento tenendolo a disposizione (per poco) come carta negoziale. E nel frattempo mobilitare le popolazioni russofile dell’est e del sudest dell’Ucraina, come difatti è accaduto ieri, in modo da poter sostenere che gli «estremisti » di Kiev sono isolati.

Ma il punto è che le acrobazie di Putin, per quanto brillanti, non possono nascondere la distanza che separa una rivolta popolare da un intervento armato:

Non possono mascherare quella che da parte russa è una reazione ampiamente prevedibile, ma non per questo meno inaccettabile. Putin pensa di ripetere la Georgia del 2008, di mandare le sue forze oltre la Crimea? Sarebbe un temerario se lo facesse, scatenerebbe una guerra civile dalla quale dovrebbe poi districarsi. Favorirà l’indipendenza della Crimea, la sua secessione? È possibile. Ma è più probabile che mentre muove le truppe aspetti al varco una Ucraina sull’orlo del default, alla quale Mosca può ritirare aiuti e sconti sul gas. Nessuno in Occidente, pensa Mosca, vorrà pagare un conto di 35-40 miliardi di dollari nei prossimi due anni. Questa è la vera, la più potente arma di Putin. Ora tocca all’Occidente raccogliere la sfida.

Crimea: la penisola di Crimea in questa infografica di Centimetri

UCRAINA

LA QUESTIONE AMERICANA – Su Repubblica si spiega la situazione dal punto di vista degli Usa:

«Le opzioni di Obama: poche e rischiose », riassume il Wall Street Journal. Anche osservatori di destra danno atto che Washington non può fare molto. Così Josh Rogin del Daily Beast: «L’impotenza dell’America non è tutta colpa di Obama. L’Ucraina è vicina alla Russia con cui ha legami storici. E Mosca ha ragione almeno su un punto: il presidente filo-russo Yanukovich fu eletto democraticamente, mentre a cacciarlo sono stati dei moti di piazza. Obama deve stare attento a non agitare minacce a vuoto, rischierebbe un bis della Siria quando minacciò l’intervento armato contro Assad per l’uso di armi chimiche, poi dovette far marcia indietro ». I più onesti ricordano che George W. Bush, pur circondato da strateghi neoconservatori, nel 2008 non varò alcuna sanzione dopo che Putin aveva inviato i carri armati in Georgia. I più ottimisti si riconoscono nell’analisi di Fareed Zakaria che sintetizza la visione dell’establishment bipartisan in politica estera: «Quel che sta accadendo in Crimea è un incubo per Putin. Era molto meglio per lui la situazione ex ante, quando poteva influenzare l’Ucraina senza colpo ferire. Nel lungo termine pagherà un prezzo, peggiorerà la sfiducia di tutti i paesi vicini verso Mosca».

Mentre c’è da ricordare che la Crimea, per i russi, rimane un monumento storico:

La Crimea solleva ondate di emozioni patriottiche in Russia. È un prezioso frammento della nazione da recuperare. Da buon populista Vladimir Putin sollecita la rivendicazione senza chiedere la secessione. Anche se la tentazione è forte. La base navale di Sebastopoli (25 navi da guerra e tredicimila uomini) non è soltanto importante sul piano militare. È un monumento storico. Dal Settecento è il porto di partenza dal Mar Nero verso i mari caldi: il Mediterraneo raggiungibile attraverso il Bosforo, accesso spesso sbarrato dalle potenze europee. Ed è là, per questo, che nel 1853 il Regno di Sardegna con Cavour primo ministro mandò i bersaglieri a combattere la prima guerra moderna. insieme a ottomani, inglesi e francesi, contro i russi.

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Caterina La Grande, che conquistò la Crimea: foto dal Corriere della Sera

VLADIMIR PUTIN, IL NUOVO ZAR – Sulla Stampa intanto l’ex capo della Cia JamesWoolsey ha le idee molto chiare sul nemico da abbattere:

«È necessario consolidare una nuova alleanza di Paesi determinati a fermare Putin. Non mi riferisco solo agli Stati Uniti e agli altri Paesi della Nato, ma anche alle nazioni dell’Asia centrale che si sentono direttamente minacciate dalla politica aggressiva di Mosca. Bisogna riconoscere il fatto che Putin non è un partner disposto al dialogo, ma un rivale con mire espansionistiche. Sulla base di questo elemento, dovremmo costruire una solida alleanza di Paesi decisi a fermarlo. A quel punto, forti di questa coalizione di nazioni determinate a resistere, si potranno prendere provvedimenti economici e politici più efficaci per fermare l’offensiva di Putin».

E da definire c’è anche il ruolo di Yulia Tymoshenko:

Ma lunedì a Mosca, a sorpresa (o forse no), arriva Yulia Timoshenko, la pasionaria e araba fenice diUcraina, ex premier di Kiev di fresco liberata di prigione, un tempo avversaria di zar Vladimirma da qualche anno ricaduta nelle sue grazie, «per cercare di risolvere la situazione di crisi in Crimea». Putin di certo preferisce lei al nuovo governo diKiev con cui si rifiuta categoricamente di parlare. Chissà che un accordo dietro le quinte non sia già pronto. sulla piazza Lenin. In Crimea regna la calma e l’ordine, non vogliamo il caos e il fascismo. La porta rotta? Pagheremo i danni e anche l’affitto. Le maschere sono per la sicurezza dei nostri uomini».

Putin, insomma, racconta la Stampa, ha in mano il gioco. E non intende mollarlo:

L’annuncio del premier ucraino che Kiev non intendeva reagire con la forza l’ha interpretato come un segno di debolezza e non di prudente ragione. I soldati russi dopo 24 ore erano più spavaldi, scoperti, l’aria di padroni di casa. Segno ancor più preoccupante i gruppi di autodifesa si inquadrano militarmente, hanno sostituito la vecchia polizia. Il governo di Crimea dichiarato illegale da Kiev nomina ormai i funzionari, anche il capo della sicurezza. Quello inviato da Kiev è stato respinto. Si forma un esercito collaborazionista, con i reduci del Berkut, il nucleo antisommossa che ha cercato di schiacciare ferocemente Maidan. Il nuovo governo ucraino lo ha sciolto.Un errore. Perché la Crimea russa li ha arruolati.

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