Ecco perché il presidente dell’Egitto al-Sisi non ha vinto con il 90% di preferenze

Nonostante l’esito plebiscitario con cui il presidente Abdel Fattah al-Sisi è stato confermato presidente dell’Egitto, l’elevata se non elevatissima astensione condizionerà il secondo mandato del generale.

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I risultati sono chiari: oltre il 90% delle preferenze contro il 3% del suo rivale fantasma Moussa Mosutafa Moussa e il 40% di partecipazione. Quest’ultimo dato, che dovrebbe venire confermato il 2 aprile prossimo, è più basso rispetto alle elezioni del 2014 (che fu del 47%) e porta a tre ragionamenti.

Il primo è che l’appello delle opposizioni a boicottare il previsto trionfo di Sisi ha funzionato. Dopo più di quattro anni di minacce, arresti e persecuzioni, esse si sono dimostrate più forti del clima di paura che aleggia nel Paese, come ha descritto Amnesty International nel suo rapporto 2017:

Le forze di sicurezza hanno continuato ad arrestare centinaia di persone sulla base della loro appartenenza, reale o presunta, ai Fratelli musulmani, rastrellandoli e prelevandoli dalle loro abitazioni o dal luogo di lavoro o, in un caso, anche dalla località di vacanza. Le autorità hanno fatto ricorso a lunghi periodi di detenzione cautelare, spesso anche per più di due anni, come metodo per punire i dissidenti. A ottobre, un giudice ha rinnovato il provvedimento di detenzione cautelare nei confronti del difensore dei diritti umani Hisham Gaafar, nonostante questi fosse già rimasto detenuto oltre il limite massimo di due anni previsto dalla legislazione egiziana. Il fotoreporter Mahmoud Abu Zeid, conosciuto come Shawkan, all’apertura del processo a suo carico, ad agosto 2015, aveva già trascorso due anni in custodia cautelare. È rimasto in detenzione per tutto il 2017, così come i suoi 738 coimputati, mentre proseguivano le udienze del loro processo. Al loro rilascio, spesso gli attivisti politici erano tenuti a rimanere fino a 12 ore al giorno in libertà vigilata presso il commissariato di polizia locale, una misura equiparabile alla privazione della libertà.

Il secondo è che la macchina di mobilitazione di Sisi non ha funzionato a dovere, forse anche per la stanchezza della popolazione e l’esito scontato che sarebbe uscito dalle urne. Le settimane precedenti alle elezioni sono state caraterizzate da un importante apparato di manifesti in giro per l’Egitto, le televisioni si sono riempite di slogan e pubblicità al regime e, dal 26 al 28 marzo, si sono registrati diversi casi dove la gente è stata portata a votare a forza e sono stati concessi permessi speciali ai lavoratori. Nel mentre per le strade venivano mobilitati i seguaci più fedeli al presidente, copti inclusi. Il presidente, una volta appresi i primi dati, ha ringraziato su Twitter i suoi elettori, esprimendo stupore e felicità per le “grandi file ai seggi”.

Terza e ultima lettura: quel 40% impedirà, o perlomeno rallenterà, il processo che ha in mente al-Sisi di farsi presidente a vita. Un risultato oltre il 47% lo avrebbe legittimato a procedere in questa direzione. Dal 2 aprile, quando i dati saranno ufficiali, l’azione del presidente potrebbe in qualche modo “limitarsi”.

Non si limiterà invece la presa di Sisi sulla popolazione. I problemi economici del Paese e l’aumento di alcuni beni di prima necessità incentiveranno i militari e la polizia ad adottare misure ancora più restrittive per prevenire eventuali proteste non giustificate.

Non si discute che il presidente ha tutti i presupposti per restare in sella all’Egitto ancora per molto tempo, l’unico dato che si vuole sottolineare è che, nonostante il trionfo a parole, al-Sisi non ha (stra)vinto le elezioni come invece lui stesso si aspettava.

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