La proposta di un “patentino social” che non è un patentino social

Dall'etichetta utilizzata dal candidato alla Regionali in Lombardia Mauro Grimoldi alle riprese della stampa. Proviamo a contestualizzare cosa è successo

23/01/2023 di Enzo Boldi

È un tema molto dibattuto da tantissimi anni: i più giovani (in realtà anche gli adulti) necessitano di un’educazione digitale affinché si approccino al mondo dei social network – e non solo – in un modo più consapevole. Sia per quel che riguarda lo sfruttamento di tutti i pregi offerti dalla rete di un mondo perennemente connesso, sia per quel che concerne i rischi (celati o meno) di cui è ricco l’universo del web. Negli ultimi giorni, in tanti hanno ripreso una proposta inserita all’interno del programma elettorale presentato dal candidato del centrosinistra (che fa parte delle liste elettorali a sostegno di Pierfrancesco Majorino) in Lombardia Mauro Grimoldi: il patentino social. In molti hanno preso alla lettera quelle definizione, ma la reatlà è ben diversa da come è stata presentata da parte della stampa.

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Partiamo, però, da una spiegazione logica: la locuzione “patentino social” è stata utilizzata all’interno del suo programma (e ripresa dalle card social pubblicate all’interno della sua pagina Facebook) dallo stesso Mauro Grimoldi. Scorrendo lungo il suo canale Facebook, infatti, troviamo ciò.

Una sintesi estrema. Un titolo di uno dei punti di riflessione che fanno parte del progetto dell’ex Presidente dell’Ordine degli Psicologi in Lombardia che ha deciso di candidarsi alla Regionali in programma il 12 e il 13 febbraio. E sui social – sono pochi i quotidiani che hanno ripreso questa notizia, utilizzando nel titolo proprio quella locuzione – si è aperto un dibattito. Ma di cosa stiamo parlando esattamente?

Patentino social, la vera storia della proposta di Grimoldi

Quando si utilizzano termini come “patente” o “patentino”, ovviamente la mente va a una sorta di documento da utilizzare per utilizzare un determinato mezzo. Il primo riferimento, infatti, è ai vari tipi da “conseguire” (dopo un esame teorico e pratico, a punti da scalare in base all’eventuale infrazione prevista dal Codice della Strada) per poter guidare un mezzo a motore. Ma qui, ovviamente, non si parla di un “documento” necessario per poter accedere al mondo dei social network. Fermandosi all’etichetta utilizzata dallo stesso Grimoldi, è facile incappare in questo errore. Poi, però, come confermato dallo stesso candidato in Lombardia e come spiegato (oltre il titolo) nel suo stesso programma elettorale, la storia cambia:

«Gli adolescenti post covid sono in difficoltà nella gestione dei rapporti reali, nell’attribuire peso alle esperienze, significato alle parole.
In particolare la fuga dei più giovani in un mondo virtuale, povero di contenuti simbolici ma ricco di immagini estreme e accattivanti, è preoccupante. L’ingresso nel mondo dei social network è sempre più anticipato tanto che spesso aggira, magari con l’acquiescente complicità dei genitori i termini di legge sull’età minima per accedere agli agognati “social”. E’ un universo alimentato da strumenti sempre nuovi: oggi sono Telegram, TikTok e Instagram, che rischiano di esporre i ragazzi a contenuti sempre più “forti” ed eclatanti i cui pericoli impliciti ed espliciti sono ben poco consapevoli, specie ai più giovani.
Proporremo un  “patentino” come forma di prevenzione e di educazione civica digitale per chi matura l’età per accedere ai social network e che preveda tra i suoi contenuti insegnare a fruire del mondo virtuale in cui sono immersi i ragazzi, mostrandone le indubbie opportunità come anche i pericoli».

Cosa vuol dire tutto ciò? Niente più che una serie di corsi da inserire all’interno del piano di offerta formativo (POF) delle scuole lombarde. Una materia da insegnare nelle scuole per mostrare a tutti i giovani (anche se, ribadiamo, questo dovrebbe essere un principio valido anche per le persone più adulte che frequentano i social network) i pregi della rete. Ma il focus deve andare necessariamente anche su tutti i rischi in cui si può incappare: dal cyberbullismo alla pedopornografia, passando per il revenge porn per poi arrivare alla diffamazione (e, di conseguenza, al linguaggio dell’odio).

Gli altri esempi già esistenti

Dunque, si tratta “banalmente” (non perché il tema sia banale, ma per sottolineare questo grande decontestualizzazione che ne è stata fatta) di corsi da proporre all’interno delle scuole della Regione Lombardia. Come già accade in molte altre zone d’Italia. Di recente, infatti, in Molise si è parlato molto del “patentino digitale“, un’iniziativa promossa dal Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni) Molise in collaborazione con il Consiglio regionale (e il supporto dell’Ufficio scolastico regionale e degli ordini professionali di avvocati e giornalisti).

Incontri con i professionisti del settore, con un unico obiettivo: non il conseguimento di una patente che autorizza l’accesso alle piattaforme social, ma una serie di lezioni che si basano sull’educazione digitale. Così come accade a Bologna dallo scorso anno (esteso non solo agli adolescenti, ma anche ai genitori). Di esempi, dunque, ce ne sono molti. La locuzione “patentino social” è solo uno specchio racchiuso all’interno del macro-contenitore dell’educazione digitale. Un programma che dovrebbe essere al centro dell’insegnamento, visto che il mondo è e sarà sempre più iperconnesso. E come si insegnano a un giovane i rischi della guida, si può insegnare a un adolescente cosa può accadere navigando – senza conoscerne i pericoli – in rete.

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