Se quando leggi Google Discover ti disinformi: il caso dell’intervista a Michele Santoro
La questione della discrepanza tra articolo e titolo, tra giornalista e titolista è antica come il mondo. Ma chi riprende un'intervista, legge il contenuto? Lo fa criticamente?
30/07/2022 di Gianmichele Laino
È una storia vecchia come il mondo. Quella degli articoli – e più segnatamente delle interviste – a cui non corrisponde il titolo corretto, fatto ad esempio di virgolettati forzati. Quelli bravi dicono che si tratta di sintesi giornalistiche. Anche se la sintesi, in realtà dovrebbe essere qualcosa di derivante da qualcosa d’altro preesistente. E invece, niente. Fatto sta che oggi, in taglio altissimo su Repubblica, veniva proposta un’intervista a Michele Santoro dal titolo Santoro: “Ho deciso, fondo il partito che non c’è e mi alleo con Conte. Il Pd non è più di sinistra”. L’argomento è diventato, nel giro di qualche ora, uno dei principali trend su Twitter in Italia. Inevitabilmente, tutte le testate online – nel lavorìo del sabato mattina – hanno ripreso i contenuti del pezzo e hanno replicato il messaggio. Su Google Discover, con la chiave di ricerca “Michele Santoro”, era tutto una pletora di articoli che parlavano del partito di Santoro.
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L’intervista, il partito di Santoro e Google Discover
C’è un tema: se si legge in maniera approfondita l’intervista, nonostante si parli apertamente di politica, si critichino – effettivamente – le scelte fatte dal Partito Democratico, soprattutto nei confronti del Movimento 5 Stelle, si esponga l’esigenza, nel nostro Paese, di un partito che guardi realmente a sinistra o a una parte d’Italia che non trova rappresentazione, non si parla mai di alcuna decisione, di alcuna fondazione di partito o movimento, di nessuna alleanza personale con Giuseppe Conte. Anzi, all’inizio dell’intervista, Michele Santoro afferma «dovrei fondare un partito in una settimana?». Insomma, il virgolettato scelto per introdurre il pezzo non sembra conforme.
Ma le notizie, o meglio i loro titoli, corrono sul web: e allora scatta la gara a chi riprende per primo la fonte originale, provando a replicarne il successo, a strappare un posizionamento migliore sul motore di ricerca, magari a bruciare sul tempo la pubblicazione di Repubblica sui social network per intercettare un altro tipo di traffico. È il problema del contenuto indotto da Big Tech: se l’utente sente qualcosa su Michele Santoro e prova a digitarne il nome sulle varie piattaforme, Google e Facebook restituiscono decine di articoli che riprendono l’intervista di Repubblica e ne replicano il titolo forzato.
Sarebbe bastato leggere il testo per proporre almeno una versione critica o dubitativa: ma Santoro ha davvero detto di voler fondare un partito? E dove? Invece la velocità, la frenesia della battuta su Twitter, hanno prodotto una serie di contenuti – ben evidenziati su Google Discover – che con la realtà dei fatti ha poco a che fare. Ed è questo il modo con cui il motore di ricerca vuole promuovere il contenuto di qualità? La lotta alla diceria e alla fake news?
Sarebbe bastato, forse, rivedere il tiro quando – nel primo pomeriggio – è stato lo stesso Michele Santoro a non riconoscersi nel titolo proposto da Repubblica, spiegando questo in un post su Facebook:
E invece, nella maggior parte dei casi, neanche questo è stato fatto. L’utente che si informa attraverso l’induzione al contenuto di Google Discover continuerà ad aspettare (o magari a criticare) il partito che non c’è.