Un ragazzo vuole ripulire il mare dalla plastica con un setaccio gigante

Potrebbe essere l’idea del secolo oppure un grande disastro: nel dubbio, ogni tentativo di ripulire il mare dalla plastica va lodato. L’ultima trovata, di uno ragazzo di soli 23 anni, quella di è costruire una sorta di gigantesco retino che raccolga tutti i rifiuti presenti, per renderne più facile l’eliminazione.

La mente dietro al progetto “The Ocean Cleanup” è Boyan Slat. Rimasto impressionato dalla quantità di plastica incontrata mentre tornava dalla Grecia. Disgustato, ha deciso di mollare il college e dedicarsi alla pulizia degli Oceani. Aveva presentato il suo progetto durante un TedTalk, appena diplomato nel 2013. Il successo è stato tale da fargli mollare il college (dove studiava ingegneria aerospaziale) per dedicarsi interamente al sogno di ripulire gli Oceani.

Ocean Cleanup, come funziona il retino anti-plastica

Il progetto prevede la costruzione di un setaccio galleggiante collegando dei tubi dal diametro di un metro e venti. Sotto a questi, una sorta di “gonna” di rete lunga più di 2 metri. Fondamentalmente, è un retino da mare supersized. Il sistema si muove in modo tale da permettere alle correnti e alle onde di spingere la spazzatura all’interno della rete e impedirne l’accesso a animali o altre forme di vita marittima.

Il tutto verrà equipaggiato da telecamere, sensori e satelliti per il controllo da remoto, insieme a pannelli per l’energia solare e sistemi anti-collisione, per evitare che qualche nave ci finisca addosso. Il sistema risulta quindi perfettamente autonomo, salvo qualche controllo di tanto in tanto durante la raccolta della spazzatura ingabbiata.

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Ocean Cleanup, pro e contro

Il progetto non profit ha raccolto molti consensi, compreso quello del filantropo miliardario Marc Benioff, di Salesforce. Nel 2017 Ocean Cleanup ha ricevuto 5,9 milioni di dollari in donazioni, da aggiungersi ad altri 17 raccolti dall’inizio della campagna.

Ma non tutto sembra rosa e fiori. Una delle preoccupazioni sollevate dai più critici è che il sistema prende di mira soltanto l’inquinamento di plastiche “integre” o in grandi pezzi, mentre non risolve il problema della microplastica. Il materiale infatti non si decompone, ma si riduce in frammenti sempre più piccoli che inevitabilmente finiscono con diventare parte dell’alimentazione dei pesci –  e quindi, anche della nostra. Inoltre la struttura potrebbe non reggere alle tempeste e ai moti più violenti del mare, finendo con l’inquinare ancora di più proprio le porzioni di Oceano da ripulire.

Ocean Cleanup, come seguirne il debutto

La prima operazione di pulizia è programmata per l’8 settembre, e potrà essere seguita via streaming – anche se l’organizzazione accoglierà anche sostenitori per vederlo di persona nel suo viaggio inaugurale. Verrà posizionato a 240 miglia nautiche dalla costa statunitense all’altezza del molo di Alameda, in California, dove resterà per un test dai 40 ai 60 giorni.

Se dovesse funzionare, il sistema verrà poi spostato di 960 miglia verso il Great Pacific Garbage Patch, tra California e Hawaii. L’obiettivo finale è quello di costruirne e inserire in mare altri 60 entro il 2020: se così fosse, la previsione è di ripulire il 50% della spazzatura nella spazzatura in soli cinque anni.

Ocean cleanup, il setaccio contro le chiazze di spazzatura

Descritte per la prima volta già nel 1988, le “trash patches” consistono in un’enorme concentrazione di rifiuti, sopratutto di plastica, che si muovono negli oceani sospinti dalle correnti e dai gorghi oceanici. Il National Ocean Service ha individuato 5 rotte principali di queste isole di spazzatura. Una delle più famose è la Pacific Trash Vortex, la cui estensione va dai 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km²: per capirci, parliamo di un’area che supera la superficie degli Stati Uniti.

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(Credits foto copertina: : Ina Fassbender/dpa)

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