Le notifiche del cellulare danno dipendenza come le droghe, secondo uno studio

17/04/2018 di Redazione

Le notifiche del cellulare creano dipendenza come le droghe, in particolare come quella degli oppiacei. E chi usa di più lo smartphone soffre di senso di isolamento, depressione e ansia. Non è una valutazione sconsiderata, fatta senza riflessione e criterio, ma quanto messo nero su bianco da uno studio scientifico, pubblicato sulla rivista NeuroRegulation, realizzato presso l’Università di San Francisco. Dal lavoro degli esperti è emerso come l’abuso di smartphone sia simile all’abuso di sostanze stupefacenti, come gli oppiacei, e come siamo sempre più incapaci di ignorare push, suonerie e vibrazioni varie che ci avvertono dell’arrivo di nuove mail o messaggi e della pubblicazione di nuovi post sui social media.

Lo studio rivela: chi usa di più lo smartphone soffre di senso di isolamento e ansia

Erik Peper, professore di educazione alla salute presso l’Università di San Francisco, primo autore dello studio, ha spiegato che «la dipendenza dall’uso di smartphone inizia a formare connessioni neurologiche nel cervello in modo simile a quelle che si sviluppano in coloro acquisiscono una dipendenza da farmaci oppioidi per alleviare il dolore». In un sondaggio condotto su 135 studenti Pepe ha scoperto che chi utilizzava continuamente i telefoni, ovvero chi sostituiva l’interazione faccia a faccia con una comunicazione in cui il linguaggio del corpo non può essere interpretato, aveva più elevati livelli di senso di isolamento, depressione e ansia. Inoltre quegli stessi studenti erano propensi, mentre studiavano e mangiavano, a guardare smartphone in una condizione di semi-tasking, in cui si svolgono più compiti insieme ma si ottiene la metà del risultato che si otterrebbe focalizzandosi su uno alla volta. A quanto pare i push ci fanno sentire obbligati a guardarli perché attivano gli stessi percorsi neuronali nel nostro cervello che una volta ci avvisavano di un pericolo imminente, come l’attacco di un predatore. «Ma ora – ha spiegato ancora il professor Peper – siamo dirottati, dagli stessi meccanismi che una volta ci proteggevano, verso le informazioni più banali».

(Foto Dpa da archivio Ansa. Credit: Karl-Josef Hildenbrand / dpa)

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