Cos’è cambiato con l’aborto in Nuova Zelanda? E perché se ne parla?

Da giorni si è diffusa in molti media italiani, tra i quali Panorama, La verità, Il Sussidiario, la notizia che in Nuova Zelanda, lo stato governato dalla premier laburista Jacinda Ardern, si sarebbe diffusa la possibilità di abortire al nono mese di gravidanza. Ma quanto c’è di vero?  E a quando risale questa novità? A cercare di fare chiarezza ci ha pensato il sito di fact checking “Butac, bufale un tanto al chilo”, che ha innanzitutto chiarito la fonte dai quali i nostri quotidiani hanno attinto per queste “esotiche” notizie. E la fonte è “Right to life New Zeland”  nota associazione cristiana e anti-abortista, contraria, tra le altre cose, all’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole.

Cosa è cambiato sull’aborto in Nuova Zelanda?

Rispondiamo subito che è cambiato poco o meglio nulla, se si fa riferimento alla legge approvata nel marzo 2020  che depenalizzava l’aborto nel Paese, ma anche a quella precedente che risale al 1977. La legge ha consentito alle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza entro le prime 20 settimane di gestazione senza che questa venga valutata come un’offesa criminale e discussa da un’apposita Commissione.  Precedentemente ai sensi della legge neozelandese, l’aborto era consentito solo in caso di incesto, “subnormalità mentale” o malformazione fetale, o nei casi in cui la salute fisica o mentale della madre fosse a rischio. Altri fattori che sono erano presi in considerazione ma senza essere motivi di per sé includevano la “violazione sessuale” e gli “l’età estrema”. Se una donna praticava un aborto, commetteva, fino allo scorso marzo, formalmente un crimine, anche se le sanzioni venivano raramente applicate. Quel che è certo è che il suo cammino era costellato da gravosi passaggi burocratici che la legge ha di fatto annullato. Ed è forse qui che nasce “l’equivoco”.

Se una donna vuole abortire prima della ventesima settimana, oggi basta che si rivolga a un operatore sanitario regolare. Dopo la ventesima settimana di gestazione l’interruzione può essere fatta solo se l’operatore la ritiene clinicamente opportuna, e solo dopo aver ottenuto una consulenza con un altro medico. Va valutato lo stato di salute della donna, sia fisico che psichico.Ma tutto ciò non è una novità: è qualcosa che si poteva fare anche prima della contestata riforma. Se prima serviva l’ok della Commissione, ora serve quello di due medici diversi.

Si può sicuramente dibattere sul merito e sulle “maglie larghe” della legislazione su un tema così delicato, ma non sulla sostanza. È formalmente sbagliato dire che il nuovo Governo ha introdotto la possibilità di interrompere la gravidanza dopo le venti settimane, perché questa possibilità esisteva anche prima ed è una “possibilità” sottoposta a valutazioni cliniche. Per quanto riguarda l’obiezione mossa dalla verità, di un eventuale maschio oltranzista che vorrebbe far abortire una donna solo perché sta partorendo una figlia femmina, come ricorda Butac, questo passaggio è contemplato nella legge sull’aborto che vieta espressamente la pratica per fine simili.

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