La multa di 390 milioni di euro a Meta “svela” agli utenti che hanno pagato il social con i loro dati personali

L'autorità irlandese per la protezione dei dati personali ha sancito che Meta ha violato la trasparenza sulla pubblicità targettizzata

06/01/2023 di Redazione

È il vaso di Pandora che è stato scoperchiato. E che punta a una nuova consapevolezza degli utenti – milioni al giorno – che utilizzano i social network di Meta (ma che, in verità, può essere applicata agevolmente a qualsiasi tipo di servizio online). Il problema della sanzione dell’autorità irlandese per la protezione dei dati personali nei confronti di Meta è determinato da una questione etica: la multa di 390 milioni di euro (circa 415 miliardi di dollari) all’azienda di Mark Zuckerberg ha un unico aspetto nel mirino, ovvero la pubblicità mirata per l’utente e i permessi da quest’ultimo concesso per ottenerla.

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Multa a Meta da parte dell’autorità irlandese per la protezione dei dati personali

Secondo il garante irlandese, Meta non è chiaro e trasparente – e in questo violerebbe il Gdpr – nel momento in cui spiega agli utenti che, per servirsi del social network, i loro dati personali vengono esposti alla cosiddetta targettizzazione commerciale: quel servizio che permette, sempre agli utenti, di avere nella propria timeline delle pubblicità connesse direttamente ai propri interessi. È – di fatto – il principio su cui si basa uno dei principali core-business dei social media: il servizio è gratuito per l’utente, ma con l’acquisizione dei dati personali, che hanno un valore commerciale altissimo, viene ampiamente “ripagato”.

Meta ha più volte sottolineato, in passato, che l’acquisizione dei dati personali non è in alcun modo imposta all’utente e che quest’ultima rappresenta comunque un servizio nei suoi confronti (e non un esplicito vantaggio per l’azienda che ottiene questi dati personali). Del resto – è Meta stesso a riconoscerlo – i dati personali non sarebbero un bene commerciabile, in quanto attinenti alla sfera dei diritti dell’uomo. Tuttavia, il Garante irlandese sottolinea come – nella comunicazione sulla targettizzazione individuale – Meta abbia peccato in trasparenza, non dichiarando esplicitamente che i dati personali sono effettivamente la leva grazie alla quale l’utente può servirsi gratuitamente del social network.

Meta, dal canto suo, sostiene che non è corretta la versione secondo cui «gli annunci personalizzati non possano più essere offerti da Meta in tutta Europa a meno che non sia stato prima richiesto il consenso di ciascun utente» e, attraverso un portavoce, afferma: «Stiamo valutando diverse opzioni che ci consentiranno di continuare a offrire un servizio completamente personalizzato ai nostri utenti». In questo, Meta sta cercando di rassicurare soprattutto gli inserzionisti che, in questo momento, vedono nella decisione una possibilità per una significativa contrazione dell’utilizzo dei dati personali da parte dell’azienda di social network di Menlo Park.

Sulla questione si è espresso anche il componente del collegio del Garante della Privacy, Guido Scorza, attraverso un articolo pubblicato sulla testata Italian Tech: «Il consenso – spiega – non è l’unica base giuridica alternativa al contratto e, quindi, come d’altra parte, la stessa Meta, in un post sul proprio blog ufficiale anticipa di voler fare mentre annuncia l’intenzione di impugnare la decisione irlandese, ci sono altre ipotesi da esaminare. Nessuna però sembra capace di garantire alle big tech i ricavi certi e stellari sin qui raccolti. Da qui a tre mesi, insomma, Internet come la conosciamo potrebbe non esistere più».

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