Il ministro Bonafede può fermare l’inchiesta sul padre di Di Battista

05/06/2018 di Redazione

Il nuovo ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, esponente del Movimento 5 Stelle, fermerà o no l’inchiesta sul padre di Alessandro Di Battista, pochi giorni fa autore di un post con offese e minacce al presidente della Repubblica Sergio Mattarella? La domanda non è banale. Al Guardasigilli infatti spetta decidere se far procedere o meno i pubblici ministeri della procura di Roma nei confronti di Vittorio Di Battista. A parlarne è oggi Repubblica in un articolo a firma di Giuseppe Scarpa.

Il post di Vittorio di Battista, padre di Alessandro, contro il presidente della Repubblica

Il caso è esploso mercoledì 23 maggio, lo stesso giorno in cui il capo dello Stato affidava al professore Giuseppe Conte il primo incarico di formare un governo. Su Facebook, Di Battista senior pubblicava un lungo messaggio, dal titolo «I dolori di mister allegria» estremamente offensivo nei confronti di Mattarella. Nel post (poi rimosso) Vittorio Di Battista affermava che gli italiani dovrebbero assaltare il Quirinale («È più di una Bastiglia, ha quadri, arazzi, tappeti e statue. Se il popolo incazzato dovesse assaltarlo, altro che mattoni») e avvertiva il presidente della Repubblica («Forza, mister Allegria, fai il tuo dovere ed eviterai seccature»). «È il papà di tutti noi – scriveva nel post scriveva Vittorio Di Battista del capo dello Stato -. È quello che si preoccupa di varare un governo. È quello che ha avallato la legge elettorale che impedisce di varare un governo. Poveretto, quanto lo capisco». E ancora, continuava: «Poveretto, quanto lo capisco». «Lo capisco e per questo, mi permetto di dargli un consiglio, un consiglio a costo zero. Vada a rileggere le vicende della Bastiglia».

 

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(Foto: Vittorio Di Battista. Fonte: profilo Facebook)

 

L’indagine per offesa alla libertà del capo dello Stato

Dopo gli accertamenti effettuati dai carabinieri del Ros la procura di Roma ha deciso a fine maggio di aprire un fascicolo per violazione dell’articolo 278 del codice penale che punisce l’«offesa all’onore o al prestigio del presidente della Repubblica». Ma, come riporta oggi Repubblica, in seguito i magistrati hanno potenziato il fascicolo modificando il titolo di reato, cambiando la contestazione da «offesa al prestigio» ad una più severa «offesa alla libertà» del capo dello Stato, punita dall’articolo 277. Per proseguire l’indagine c’è ora bisogno dell’via libera di Bonafede, perché, come dispone l’articolo 313 del codice penale, non si può procedere per il 277 e il 278 senza l’autorizzazione del ministro della Giustizia, che può dunque anche arenare il tutto. La differenza tra le due contestazioni è anche negli anni di reclusione previsti: nel primo caso (articolo 278) vengono indicati da uno a 5 anni, nel secondo caso invece (articolo 277) tra i 5 e i 15 anni. Va precisato che finora Vittorio Di Battista non risulta iscritto nel registro degli indagati. I magistrati attendono l’ultima informativa da parte dei carabinieri. Bisogna accertare (ma non sembrano esserci dubbi finora su questo) che dietro il profilo Facebook del post offensivo ci sia davvero Di Battista senior.

(Foto di copertina da archivio Ansa. Credit immagine: ANSA / ALESSANDRO DI MEO)

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