Facebook ha un concetto diverso di incitamento all’odio se si tratta di Trump o di Casapound

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Abbiamo cercato di analizzare due casistiche che, per quanto non perfettamente sovrapponibili, segnalano chiaramente una opposta direzione di Facebook nelle sue scelte

È bene fare un paio di puntualizzazioni prima di immergersi nella lettura del pezzo. Innanzitutto, Donald Trump ha operato in un contesto – quello americano – decisamente diverso da quello del panorama politico italiano. Quando postava i suoi contenuti su Facebook lo faceva dall’alto del suo ruolo istituzionale di presidente degli Stati Uniti. Un ruolo istituzionale che, per scendere nel dettaglio del nostro confronto, Casapound non ha mai avuto, essendo stato un movimento politico che, al massimo, ha espresso delle cariche locali. Diverso è sicuramente il peso politico, diversa è stata anche la natura dei messaggi pubblicati sulle pagine: molto più espliciti, sicuramente, quelli di Casapound rispetto a quelli di Donald Trump (nonostante la benzina sul fuoco prima e durante le proteste e le rivolte di Capitol Hill del 6 gennaio 2021). Fatto sta che, mentre in Italia Meta rimuove Casapound dai suoi social network (con tanto di decisione del tribunale di Roma), negli Stati Uniti la company proprietaria, tra le altre cose, di Facebook e di Instagram ha fatto sapere che Donald Trump potrà essere riammesso sulla piattaforma.



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Meta rimuove Casapound, ma riammette Trump: le differenze di gestione

Partiamo dalla storia del rapporto tra gli account Facebook collegati a Casapound e la stessa piattaforma. Nel 2019, all’indomani di un ragionamento più strutturato di Menlo Park sul macro-fenomeno dell’odio in rete, Facebook decise di estromettere dalla propria piattaforma Casapound e gli account di personaggi collegati al movimento della tartaruga, collocato nella galassia dell’estrema destra italiana. «Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose, che vieta a coloro che sono impegnati nell’odio organizzato di utilizzare i nostri servizi» – all’epoca dei fatti, Facebook commentò così la decisione.



Tuttavia, in seguito alle proteste di Casapound – che si basavano principalmente sul fatto di essersi visti negare il diritto di tribuna sui social network, con conseguente (secondo loro) impoverimento del dibattito politico – il tribunale di Roma chiese a Facebook di reintegrare le pagine del movimento. Non era una decisione sul merito della questione, ma di carattere procedurale: l’art. 700 c.p.c sottolinea come un provvedimento possa essere revocato se basato su «un pregiudizio imminente e irreparabile». Il reintegro, ovviamente, era previsto in attesa della sentenza del tribunale stesso sull’opportunità di rimuovere o meno i contenuti di Casapound da Facebook. E questa sentenza di primo grado è arrivata qualche mese fa, nel periodo natalizio del 2022. Il tribunale di Roma aveva stabilito che Facebook aveva addirittura il dovere di rimuovere una pagina come quella di Casapound. Cosa che poi, puntualmente, si è verificata (il movimento, poi, farà ricorso rispetto a questa decisione).

Anche nel caso della rimozione di Casapound da Facebook c’è stata una volontà chiara dell’azienda, che ha preso una decisione in merito agli account social in questione. La stessa volontà che animò Facebook nel 2021 a proposito del caso di Donald Trump (non ci fu all’epoca un blocco totale, ma una sospensione di due anni). Tuttavia, per questioni di opportunità o per un aspetto che ci è difficile comprendere, a due anni di distanza, la volontà di Facebook nei confronti di Trump sembra essere cambiata. Mentre resta salda, al momento, quella nei confronti di Casapound.



Esistono due tipologie di odio in rete? Esistono diversi gradi e sfumature di diffusione di messaggi da haters, a seconda della portata e del ruolo dell’interlocutore? Secondo Facebook, per quello che riguarda Trump, il rischio di pericolosità si è sufficientemente ridotto (è bastato il silenzio social di Trump o – meglio – la sua migrazione su un portale social proprietario per attenuare questo rischio?); cosa che, invece, non sembra essersi verificata per il contesto italiano di Casapound. Sarebbe opportuno, a questo punto, capire se esiste una scala oggettiva – vista l’arbitrarietà della scelta – che misuri la pericolosità della diffusione di odio in rete.