La tentazione (errata) delle aziende per puntare sul visual: la Media House con Sora e compagnia

Non ci può essere errore più grande di voler realizzare una piattaforma per raggiungere i clienti e puntare sul loro intrattenimento basata su strumenti di intelligenza artificiale

26/02/2024 di Gianmichele Laino

C’è un’esigenza che, attualmente, sta stuzzicando l’immaginario di diverse aziende e di diversi brand. Quella, cioè, di entrare direttamente in contatto con i propri clienti, con i propri utenti, con il propri fan (o anche con chi fan non è e punta a diventarlo). È un’esigenza che è partita soprattutto dal grande successo che ha avuto RedBull e che hanno avuto, parimenti, diverse società sportive (soprattutto calcistiche, dall’Inter al Barcellona). L’esigenza è configurabile come la strutturazione della propria media house: un centro interno che faccia giocare un ruolo all’azienda nell’ideazione, nella produzione e nella distribuzione di contenuti, sia online, sia offline. I casi di successo di RedBull (la cui media house è diventato un esempio paradigmatico da seguire), del Barcellona (che ha venduto per 200 milioni di euro il 49% delle azioni della sua media house, risolvendo una complicata situazione di bilancio), dell’Inter (che ha costruito, grazie alla sua media house un rapporto strettissimo con i tifosi) hanno portato sempre più aziende a informarsi su come poter costruire e mettere in pratica un modello di media house proprietaria. C’è, però, una tentazione che inizia a farsi strada: se la media house serve effettivamente per ottimizzare dei costi a livello di produzione e per avere un controllo sul contenuto, come si può ulteriormente abbattere queste cifre e queste numeriche? Sora, ovvero il prodotto di AI costruito da OpenAI che a partire da un prompt realizza un video in alta qualità, sembra rappresentare una grossa illusione per chi ha l’ambizione di costruire una media house, ma non vuole sbilanciarsi eccessivamente nel metterla a bilancio.

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Media house e AI, la tentazione di utilizzare Sora

Il ragionamento che viene fatto è piuttosto semplice: se la media house mi permette di risparmiare su produzioni (stiamo parlando, qui, soprattutto dei video) che normalmente venivano affidate a fornitori esterni, le varie aziende penseranno di poter ottimizzare le risorse ulteriormente a partire dall’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale. Al prezzo di un abbonamento pro a uno strumento come quello che, a breve, metterà a regime un’azienda solida come OpenAI, si potranno produrre quantitativamente un numero maggiore di contenuti video, senza passare per risorse uomo e risorse tecniche.

Ora, al di là del fatto che uno strumento come Sora deve ancora essere perfezionato e che ha grossi limiti sotto diversi punti di vista (e che il momento per investire in una media house è questo e non può permettersi di aspettare l’evoluzione dell’intelligenza artificiale), puntare su prodotti preconfezionati (come i video realizzati dall’AI) è uno degli errori più fatali che un’azienda con una media house possa commettere.

L’obiettivo di una media house è quello di intrattenere il più possibile l’interlocutore (ovvero il cliente o il possibile cliente) al fine di stabilire con lui un rapporto di familiarità che vada oltre il prodotto stesso. Si tratta, quindi, di una mission estremamente delicata, su cui i margini d’errore sono bassissimi. Per questo la qualità dell’elemento multimediale, la sua efficacia, la sua rispondenza alle esigenze valoriali del brand e dei clienti che si rivolgono a questo brand sono punti fondamentali per la correttezza del messaggio.

Inoltre, è fondamentale che il prodotto sia autoriale e riconoscibile, con un marchio distintivo che non è rappresentato solo dal brand stesso (che, anzi, nei contenuti della media house può anche non comparire), che sia informativo, che sia efficace nell’intrattenimento. Si tratta di parametri che, allo stato attuale del dibattito sull’intelligenza artificiale, non possono essere garantiti da qualsiasi strumento che si basi su questa tecnologia (non lo è per il testo, immaginiamoci per un video). Infine, affidarsi a una produzione basata (in tutto o in parte) sull’intelligenza artificiale può esporre il brand alla cattiva informazione, alla fake news, alla falsa percezione di sé. Davvero vale la pena mettere a rischio questi elementi imprescindibili per risparmiare qualche soldo su un investimento che è parte del patrimonio stesso dell’azienda che lo realizza?

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