Il proprietario di Tinder Match Group fa causa a Google per presunte violazioni dell’antitrust

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Secondo le società appartenenti a Match Group: «Questa causa è una misura di ultima istanza»

Match Group contro Google: nuovi problemi per la piattaforma Google. Un paio di mesi fa vi abbiamo raccontato che l’Autorità Antitrust stava indagando su Google (e Meta) per probabili condotte anticoncorrenziali nei servizi di pubblicità display online, mentre ora a chiamare in causa il colosso dell’informatica è Match Group, incluse quelle che gestiscono le app di appuntamenti Tinder, Match, OkCupid e altre, che collettivamente formano «Match Group».



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Match Group contro Google: di che cosa è accusato il colosso dell’informatica

Le società che collettivamente formano Match Group hanno fatto causa a Google per la sua manipolazione strategica dei mercati, per le promesse non mantenute e abuso di potere nel richiedere alle stesse di usare il sistema di fatturazione di Google per rimanere nel Google Play Store. Il requisito imposto dalla piattaforma eliminerà la scelta dell’utente sulle app Match Group e incrementerà i costi per i consumatori, così, permettendo a Google di addebitare a Match Group una tassa arbitraria e discriminatoria del 15% su tutti gli abbonamenti e fino al 30% su tutti gli altri acquisti in-app, per un valore di centinaia di milioni di dollari in «commissioni» amplificate, monetizzando i dati personali di miliardi di utenti di app digitali. La società Google sarebbe, dunque, accusata di abuso del suo potere di mercato. In un atto depositato ieri presso un tribunale della California, Match Group sostiene che il gigante della tecnologia avrebbe violato le leggi antitrust federali e statali con le sue linee guida sul Play Store. La controversia ha ad oggetto una politica che Google intende implementare entro la fine dell’anno. Verso la fine del 2020, la piattaforma aveva, infatti, esplicitato la sua posizione sugli acquisti in-app, dichiarando che avrebbe richiesto a tutti gli sviluppatori Android di elaborare pagamenti che coinvolgessero «beni e servizi digitali» tramite il sistema di fatturazione del Play Store. Google aveva annunciato che tale sistema sarebbe entrato in vigore il 30 settembre 2021, ma poi ha esteso il termine al primo giugno 2022.



Match Group ritiene che Google aveva «precedentemente assicurato» alla stessa di poter utilizzare i propri sistemi di pagamento e, invece, il colosso informatico la avrebbe minacciata di rimuovere le sue app dal Play Store ove non si fosse adeguata alla modifica delle norme di Google entro il primo giugno 2022. Inoltre, Google avrebbe poi iniziato a rifiutare gli aggiornamenti delle app che mantenevano i sistemi di pagamento esistenti nei suoi servizi di incontri: «Dieci anni fa, Match Group era partner di Google. Ora siamo suoi ostaggi», espone l’azienda nella sua denuncia. Il CEO di Match Group, Shar Dubey, in una dichiarazione condivisa dalla società con Engadget, ha dichiarato che: «Questa causa è una misura di ultima istanza», aggiungendo di aver tentato, in buona fede, «di risolvere questi problemi con Google, ma la loro insistenza e le minacce di rimuovere le app dei nostri marchi dal Google Play Store entro il 1° giugno non ci hanno lasciato altra scelta che intraprendere un’azione legale». Google, dal canto suo, ha dichiarato ad Engadget, che Match Group è idonea a pagare il 15% di commissione sugli acquisti in-app, che secondo la società tecnologica sarebbe il più basso tasso tra le «principali piattaforme di app». Google ha, poi, dichiarato allo stesso tramite un suo portavoce, che «l’apertura» di Android permette alle società appartenenti a Match Group di distribuire le proprie app tramite app store alternativi e sideload se non intendono rispettare le politiche di Google: «Questa è solo una continuazione della campagna egoistica di Match Group per evitare di pagare per il valore significativo che ricevono dalle piattaforme mobili su cui hanno costruito la loro attività». La causa giunge in un momento in cui sia Apple che Google devono affrontare una grande pressione normativa da parte dei legislatori di tutto il globo per modificare le politiche degli app store. Se le proposte di legge entrassero in vigore, sarebbe vietato sia a Google che a Apple di bloccare sviluppatori di terze parti nei rispettivi sistemi di pagamento.