Mano amputata per infezione da sushi, cosa c’è da sapere per evitare allarmismi

30/08/2018 di Redazione

Da questa mattina sta facendo il giro del web la notizia di un caso medico piuttosto raro che si è verificato nella zona di Jeonju, una cittadina nei pressi di Seoul in Corea del Sud. Un uomo di 71 anni sarebbe stato colpito da una grave infezione dopo aver mangiato del sushi. Quest’ultimo avrebbe notato immediatamente delle vesciche crescere sulla sua mano che poi si è gonfiata a dismisura, tanto da costringere i medici ad amputargliela.

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Mano amputata infezione sushi: il caso specifico

Le cause dell’infezione sono state individuate in un articolo dell’autorevolissima rivista scientifica New England Journal of Medicine. Il gonfiore alla mano è stato accompagnato anche da febbre alta e da fortissimi dolori. In un primo momento, il tessuto infetto è stato rimosso e sono stati prescritti degli antibiotici. Tuttavia, qualche giorno dopo, al persistere dell’infezione, l’uomo è stato costretto a tornare in ospedale dove è stato sottoposto all’intervento di amputazione della mano.

L’infezione che ha colpito l’uomo, la vibriosi, è stata causata dal batterio Vibrio vulnificus che si contrae mangiando del pesce crudo contaminato. Tuttavia, non bisogna allarmarsi e non bisogna fare di tutta l’erba un fascio.

Mano amputata infezione sushi: inutile creare allarmismi

Il paziente che ha contratto il batterio aveva un quadro clinico particolare: essendo diabetico era potenzialmente immunodepresso e, pertanto, il contagio è avvenuto con molta più facilità. Nei pazienti che non presentano questo problema, la possibilità di sconfiggere l’infezione senza ricorrere a questa soluzione drastica è decisamente più alta.

Vale appena la pena ricordare che, quando si va a mangiare il pesce crudo, bisogna seguire alcune norme basilari, tra cui quella di valutare l’igiene del posto che propone nel suo menu questo tipo di pietanza, assicurarsi che il pesce sia stato abbattuto prima di essere servito e che quest’ultimo non sia rimasto fuori dai refrigeratori per più di due ore. In ogni caso, è inutile creare allarmismi inutili portando come esempio questo specifico caso clinico.

[Foto dall’articolo scientifico del New England Journal of Medicine]

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