Malattie dimenticate – La guerra di Carlo alla SLA
11/06/2008 di Donatella Lai
Una grave patologia rara, la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Il professor Carlo Bruno che, affetto da questa malattia, trova giovamento da una cura non approvata ed ottiene il consenso del Ministero della Salute per l’uso del farmaco dopo dure battaglie legali. Il confine sottile tra sperimentazione controllata e uso di farmaci potenzialmente risolutivi per le patologie rare.
Per ragioni legate al mio lavoro mi sono trovata a conoscere persone affette da Sclerosi Laterale Amiotrofica patologia neuromotoria molto grave ,che causa una progressiva perdita di trofismo e funzionalità dei motoneuroni e conseguentemente dei muscoli innervati. Coloro che ne sono affetti perdono irreversibilmente la funzione muscolare, il volume del muscolo stesso che progressivamente si atrofizza, e questo esclusivamente a carico dei gruppi muscolari volontari. Questo avviene in tempi variabili da caso a caso, essendo il decorso della malattia imprevedibile, ma il risultato finale è comunque la paralisi dei muscoli respiratori. Quando la malattia arriva a questo punto l’unica soluzione per tenere in vita il paziente è quella di effettuare una tracheostomia (che rispetto alla semplice tracheotomia ha la caratteristica di essere praticamente una soluzione definitiva) attraverso la quale inserire un sondino tracheo-bronchiale e uno esofageo per provvedere alla ventilazione assistita e alla nutrizione del paziente saltando il processo di deglutizione che nelle fasi avanzate della malattia è impossibile.
LA RICERCA PER LE MALATTIE RARE – La S.L.A. è considerata una malattia rara, la sua incidenza è stimata intorno ai 2,4 casi ogni 100.000 abitanti (sebbene io a questo punto mi chieda come mai nella mia professione sono venuta a conoscenza di almeno 4 casi, pur non essendo neurologo). Come tutte le malattie rare, essa è piuttosto trascurata dalla ricerca scientifica, per ragioni che avevo accennato in un precedente articolo. Infatti la ricerca viene troppo spesso demandata alle case farmaceutiche, che ovviamente non hanno interesse a investire su prodotti destinati ad una fetta di popolazione così scarna. Di solito in questi casi non sono gli stati a vicariare, ma le associazioni e le fondazioni che si preoccupano di organizzare eventi per raccogliere i fondi necessari per la ricerca.L’evento più noto al pubblico italiano è sicuramente TELETHON, quello che ha ottenuto di gran lunga la maggiore attenzione mediatica. Essendo però le fondazioni dipendenti dalle donazioni di enti e di singoli cittadini, esse vivono costantemente con l’incertezza del domani, non potendo prevedere la quantità del gettito di denaro e la sua regolarità nel tempo.
IL “CASO” DI CARLO BRUNO – Ritornando a parlare della S.L.A., nel mio peregrinare in rete mi sono imbattuta in un sito che mi ha dato fortemente da pensare. Si tratta del sito di Carlo Bruno, un uomo affetto da questa patologia e che riferisce di riuscire a tener sotto controllo questo terribile male attraverso una terapia a base di SOMATOMEDINA detta anche IGF-1. Trattandosi di un fattore di crescita, il suo uso comporta ovviamente anche dei rischi piuttosto seri, quali quelli di favorire l’insorgenza e/o lo sviluppo di tumori. Inoltre essendo un ormone di tipo proteico (come l’insulina) non è un prodotto che possa essere assunto per via orale in quanto, come tutte le proteine, verrebbe smontato dai processi digestivi e ne verrebbero assimilati solo i singoli aminoacidi. Il professor Bruno è riuscito ad ottenere dal Ministero della Salute l’uso compassionevole del farmaco, come si può leggere dal suo sito, in seguito ad accese e tenaci battaglie legali. E’ il tribunale, quindi, che ha permesso per questo paziente e solo per questo tale trattamento, valutando la documentazione clinica relativa al suo uso nel caso specifico. In rete è reperibile la nota AIFA datata 21 novembre 2006 nella quale si spiega la ragione per cui non viene approvato l’uso di questo ormone nella terapia della S.L.A., inoltre il sito dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) in questo comunicato stampa dello scorso ottobre, riporta la situazione relativa alla ricerca e ai risultati relativi all’uso di tale farmaco. Nel sito stesso non vengono al riguardo riportati aggiornamenti. Ora, da un lato abbiamo un uomo che dice di aver tratto un enorme giovamento dalle cure legate all’uso di IGF-1, dall’altro le notizie relative agli studi controllati non sono ancora incoraggianti. Come mettere insieme due esigenze così lontane ma entrambe importanti? La sperimentazione dei farmaci richiede protocolli e tempi molto rigidi, tempi che sarebbero mortali per Carlo Bruno. Tali protocolli sono indispensabili per garantire la serietà delle ricerche e la sicurezza del prodotto nel momento in cui viene approvato per l’uso commerciale. E’ molto sensato, a mio parere, che tale procedura venga seguita. Ma c’è un ma. In questo caso Carlo Bruno ha trovato comunque il modo di saltare questo procedimento e si trova costantemente a rischio di dover sospendere delle cure che sembrano aver avuto una notevole efficacia.
RIVEDERE I PROTOCOLLI DI RICERCA? – Perché allora, anziché lottare “Stato contro Bruno” non approfittare di una situazione così particolare e non permettere uno studio sistematico sul “caso singolo”, per usare una terminologia tecnica? Sarebbe infatti sufficiente attivare dei controlli standardizzati in modo da verificare come procede la terapia nel caso del singolo paziente e usare questi dati anche come spunto per eventualmente modificare i protocolli dei trials farmacologici. Non si tratterebbe di stravolgere un sistema di sperimentazione del farmaco, che è necessariamente rigoroso, ma si tratta di prendere atto di una situazione insolita e sfruttarla per il bene di tutti coloro che attendono una risposta seria per il trattamento di una patologia gravissima, invalidante, mortale. Allargando queste riflessioni, la mia osservazione è che malattie rare ne esistono tante e che la ricerca su esse e sulle cure possibili è rallentata anche dal fatto che non si trova un numero sufficiente di pazienti che possano essere inseriti nelle sperimentazioni cliniche di fase III. Queste ultime quindi procederanno necessariamente molto a rilento, in alcuni casi subiranno degli arresti per tempi indefiniti. Farmaci potenzialmente risolutivi, o perlomeno in grado di rallentare o arrestare malattie destinate a produrre gravi invalidità e morte, possono così non venir mai alla luce.
Non sarebbe il caso, allora, di rivedere i protocolli di ricerca sui farmaci qualora essi riguardino patologie la cui incidenza è bassa? E di usare in questi casi e solo in questi casi l’ausilio di persone coraggiose, come il professor Bruno, che accettino anche di sottoporsi a terapie il cui esito è ignoto?