Uccide il figlio autistico con la candeggina
15/11/2010 di Pietro Salvato
Oggi la svolta durante il dibattimento. La madre, dopo aver negato per mesi, ha ammesso l’omicidio volontario del ragazzino dodicenne per non lasciarlo ai servizi sociali
Questa tragica storia, ha per protagonisti una madre ed un figlio, oltre agli sviluppi di una vicenda per certi versi paradossale. La madre che ha fatto bere al figlio autistico di soli 12 anni una tazza di candeggina, perché temeva che i servizi sociali l’avrebbero portarto via.
UNA STORIA DI ORDINARIA FOLLIA – Satpal Kaur Singh, 44 anni, ha ucciso il figlio Ajit poche ore dopo che ha rifiutato di cooperare con gli assistenti sociali per una terapia che la curasse. La Singh era apparsa “calma” e nessun altro che ha partecipato all’incontro ha nutrito “preoccupazioni circa il suo comportamento immediato”, hanno ammesso gli assistenti sociali chiamati a testimonire innanzi all’Old Bailey, l’Alta Corte di giustizia di Londra. Poche ore dopo, la stessa madre disgraziata, ha chiamato la polizia ed ha rilasciato le seguenti terrificanti parole: “Ho appena ammazzato mio figlio e ho cercato di suicidarmi”. La corte inglese ha sentito gli assistenti sociali di Barking una zona residenziale ad est di Londra, e in tutte le udienze, cominciate lo scorso febbraio, si è interrogata sul possibile (ammesso che ne esista uno solo) perché del terribile omicidio. Una storia, come si vede, che assomiglia molto a quella altrettanto agghiacciante del delitto di Cogne. La donna dopo il suo arresto ha successivamente negato l’assassino del figlioletto. La vicenda ha fatto discutere la stampa e più in generale i media inglesi. Senza arrivare ai “plastici” di Vespa, anche oltremanica si sono subito creati i due tradizionali partiti: quello dei colpevolisti (largamente maggioritario) e quello degli innocentisti, o meglio di quelli che imputavano il gesto folle e sconsiderato appunto ad un raptus, una follia immonda quanto improvvisa.
OGGI LA SVOLTA – Come detto la donna, dopo il suo arresto si è dichiarato innocente, ha per tutto questo tempo accampato scuse, addotto alibi che si sono subito sciolti come neve al sole. Mancava tuttavia ancora una sua esplicita confessione. Confessione che, appunto, è arrivatasolo oggi nel corsa dell’ennesima udienza del dibattimento. La donna si è dichiarata colpevole di omicidio colposo, dichiarazione – evidentemente – studiata a “tavolino” con il suo collegio di difesa, poiché le comporterà una riduzione di pena, poiché l’omicidio volontario è meno grave rispetto a quello premeditato supposto inizialmente dall’accusa. L’accusa, per bocca dei procuratori che stanno seguendo il caso, ha accettato il cambio del capo di imputazione, subito dopo che i periti psichiatrici della stessa parte hanno accertato che effettivamente la donna soffriva di un serio e grave disturbo mentale. La Singh, pertanto, è stata trattenuto in custodia in attesa della condanna prevista il prossimo 13 dicembre. Il procuratore Richard Whittam ha dichiarato: “Questo caso è una grande tragedia. Una storia orribile che solo con un gesto folle di una malata può trovare una spiegazione umanamente comprensibile”. Ma la storia presenta anche altre responsabilità. Quelle degli assistenti sociali che prima dell’efferato omicidio hanno sottovalutato la gravità del quadro psichiatrico e psichico della donna. Whittam ha ancora detto: il piccolo “Ajit era dipendente da sua madre per le sue necessità”, tuttavia “Non aveva senso del pericolo. Mai avrebbe potuto immaginare dove la follia della madre sarebbe mai arrivata”. Solo adesso i vicini, quegli stessi vicini che fino a poco tempo descrivevano la donna come perbene per quanto riservata, descrivono la donna come “pericolosa”, oppure azzardano “il ragazzo non doveva stare con lei”. Solo adesso, come sempre in questi casi.