Luca Traini: «Sono pentito, ora ho capito che il colore della pelle non conta»
03/02/2019 di Enzo Boldi
Era il 3 febbraio del 2018, quando Luca Traini decise di vendicare la barbara uccisione della giovane Pamela Mastropietro scendendo per le strade dei Macerata a caccia di uomini con la pelle nera. Un vero e proprio raid che portò al ferimento di sei persone che con la morte della 18enne romana non c’entravano nulla. Ma lui aveva gli occhi iniettati di sangue e odio e scelse la via del ‘tutta l’erba un fascio’ facendosi pervadere da quell’istinto xenofobo che lo portò a quel vile gesto.
«In quel momento era cosi. Posso provare a spiegare, anche se non è semplice, come lei può capire – racconta Luca Traini a Ezio Mauro nell’intervista pubblicata domenica su Repubblica, a un anno dal raid di Macerata –. Per me gli spacciatori avevano ucciso Pamela, e gli spacciatori erano loro, i negri. Li chiamavo cosi. Oggi li chiamo neri». Già dopo la sentenza con rito abbreviato che lo ha condannato a 12 anni di prigione, il 29enne si era detto pentito, cercando di giustificare il suo gesto dietro il bombardamento mediatico che accusava di spaccio le persone di colore.
Luca Traini e il bombardamento xenofobo fuori dal carcere
Ma la realtà è ben diversa. «Poi, in questi mesi passati in carcere, ho lentamente capito che gli spacciatori sono bianchi, neri, italiani e stranieri – prosegue nel suo racconto Luca Traini -. La pelle non conta. Vede, qui dentro si capiscono molte cose, guardando gli altri e parlando con loro». Il mondo reale, dunque, sembra essere quello all’interno dei penitenziari, dove la propaganda e le false notizie non riescono a entrare e si aprono ampi spazi di riflessione su quel che è stato fatto e ciò che è accaduto fuori da quelle mura invalicabili.
A un anno da quel raid chiede scusa e dice di aver capito cosa ha sbagliato
«Tutta la mia ideologia politica, Dio, patria, famiglia, onore, ha pesato in quel mix esplosivo. La tragedia di Pamela ha fatto da innesco, e ha incendiato tutto. Per me il saluto romano era un gesto abituale. Un rituale simbolico. Lo facevo ogni mattina al sole nascente – spiega Luca Traini, rispondendo a una domanda sul braccio teso mostrato dopo il tentativo di uccidere le sei persone a Macerata -. Dunque non era una sceneggiata. Certo, dopo gli incontri e i colloqui in carcere, ho cominciato a rivisitare i miei gesti, e si è fatto strada il pentimento. Ma sono due momenti diversi».
(foto di copertina: archivio Ansa)