La parabola del buon Pastore – L’editoriale di Alfredo Pedullà

A gennaio avrebbe fatto di tutto, pur di tornare in Italia. Javier Pastore aveva lanciato mille messaggi all’Inter, aveva parlato in pubblico e in privato, aveva aperto le porte e le finestre. Si sarebbe tagliato l’ingaggio pur di ricongiungersi al suo “padrino” calcistico Walter Sabatini. Nisba. Pastore aveva aperto porte e finestre, Suning aveva chiuso la cassaforte. A quadrupla mandata. Nisba. Cari tifosi dell’Inter, non possiamo sobbarcarci un’operazione di questo tipo. Morale: diritto di riscatto, oppure nulla. Nulla.

Javier Pastore
Foto Ansa – Henri Szwarc/ABACAPRESS.COM

Sono trascorsi circa cinque mesi e la parabola del buon Pastore diventa un inseguimento finalmente riuscito. All’Italia, alla Serie A, al mondo che gli aveva dato soldi e gloria – do you know Palermo? – prima di spiccare il volo verso la dorata Parigi degli sceicchi. C’è voluta un’intuizione di Monchi, con il chiaro avallo tecnico-tattico firmato Di Francesco per consumare una svolta eccitante. La Roma. Una staffetta ormai annunciata, siamo ai titoli di coda prima del grande annuncio. Nainggolan da Spalletti, l’agognato obiettivo numero uno dell’Inter. E Javier sulla sponda giallorossa del Tevere, saranno acque limpidissime.

Pastore è un delizioso interprete del calcio moderno. Piedi fatati, classe incorporata, personalità e progressioni. Prende la porta e li manda in porta. In sintesi: la completezza di un artista ancora giovane, classe 1989, e che doveva obbligatoriamente cambiare aria per evitare di restare soffocato. Il Paris Saint-Germain era diventato un’agonia: panchina, spezzone, qualche volta titolare, un feeling con Emery esistente soltanto a parole. Emery diceva a gennaio: “Vorrei non andasse via, ci può servire“. Il classico egoismo dell’allenatore che tratterebbe anche il ventesimo del gruppo, pur non dandogli la minima visibilità. Pastore si era stufato anche per questo motivo, tra belle parole e fatti c’era una distanza siderale. Gli dicevano che era quasi indispensabile, ma alla prova del campo era l’ultima o la penultima ruota del carro. Lui non aveva creato alcun tipo di problema semplicemente perché era stato il primo grande investimento della proprietà Psg. Si sentiva riconoscente, ma la riconoscenza non può durare in eterno. Prima o poi saluti e te ne vai. Appunto.

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La parabola del buon Pastore prevede una riconversione tattica molto interessante. Lo ricordi come trequartista molto elegante e concreto, a ridosso delle punte. Ma il sistema giallorosso non prevede il rifinitore, stiamo parlando in linea di massima di un 4-3-3. Ecco, quindi, la soluzione pronta e intrigante: Pastore mezzala come già si è esibito a lungo nella sua ultima parentesi parigina. Una mezzala dai piedi buonissimi, il passo giusto, le intuizioni spesso geniali che possono fare la fortuna della Roma.

Lo riteniamo un grande acquisto. Javier vale spesso, se non sempre, il prezzo del biglietto. E quindi dell’investimento. Al resto ci penserà Di Francesco, mica l’ultimo della compagnia.

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