La denuncia dei riders: “Il sushi non è un diritto, la salute sì”

È uno strano Paese quello dove si dibatte per giorni sulla necessità o meno di fare jogging o portare i figli a fare due passi all’aperto, mentre si chiudono gli occhi sulla sicurezza dei lavoratori e su assembramenti giustificati sulla base di fantomatici “servizi essenziali”. Sì perché l’hastag #Iorestoacasa non è valido per tutti. Se il lavoro dei riders, i fattorini dell’era digitale, è considerato prioritario, non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda la loro salute. Fuori dalle grandi catene di fast food e ristoranti sono ricominciati gli assembramenti di lavoratori in attesa di consegna, spesso sprovvisti di ogni basilare dispositivo di sicurezza. La denuncia viene dall’associazione Deliverance Milano che ha mostrato come qual era lo scenario fuori da un McDonald’s di Palermo ieri. Dimenticate distanze di sicurezza e dispositivi di protezione, l’assembramento di riders è considerevole e il fotogramma è solo un assaggio di quello che potrebbe succedere in tutta Italia. Una dinamica che mette a repentaglio la salute dei lavoratori e vanifica mesi di lotta contro il Covid-19.

«Sushi, burger e cibi gourmet non sono un diritto, la sicurezza sì» ci racconta Angelo, attivista dell’Associazione Deliverance Milano, spiegandoci la strategia delle piattaforme in un momento economicamente critico «C’è da dire che le piattaforme hanno provato a ritagliarsi una fetta di mercato nella consegna di spesa e medicinali in un momento economicamente difficile, chi aveva sistemi di e-commerce o di spesa online li ha implementate, altri hanno investito, cercando quindi di rispondere quindi a quelli che erano ritenuti come servizi essenziali: si pensi alle persone anziane, a quelle in quarantena, o banalmente alle persone che non hanno voglia di fare lunghe code al supermarket, ma ci sono non poche criticità». Quali? « Innanzitutto non possiamo classificare il delivery food come servizio essenziale, un conto sono spesa e i medicinali, un altro gli hamburger di McDonalds» argomenta Angelo «dall’altro stiamo lavorando assolutamente privi di qualsiasi dispositivo di sicurezza. Aggiungo che spesso, nella spesa a domicilio, le commissioni che le piattaforme impongono sono molto alte, in questo modo la spesa costa molto di più, una logica molto diversa da quella di “servizio”. Poi faccio una riflessione, Deliveroo in questi giorni ha diminuito la flotta e le zone di copertura: se un servizio è fondamentale può fare queste scelte?».

La proposta: «Se le consegne sono essenziali si punti sulla nazionalizzazione o sulla sicurezza reale»

Già perché quello che sfugge è proprio la definizione di servizio essenziale: «Se svolgiamo un servizio essenziale, allora chiediamo che questo servizio venga nazionalizzato per questo periodo, gestito con prezzi calmierati per i consumatori e con una copertura economica degna per i lavoratori, se non si vuole compiere questo passo almeno si punti sulla sicurezza reale». Già perché a mancare sono davvero le basi, in un Paese che ha fatto dell’osservanza delle logiche di distanziamento sociale, il fulcro dell’impegno di questi mesi «Mancano mascherine, guanti, gel, che le piattaforme non stanno distribuendo in maniera adeguata, inoltre si creano degli assembramenti, come quello di Palermo dove la distanza di sicurezza non è nemmeno contemplata, una situazione che è solo un’avvisaglia di cosa potrebbe succedere in tutta Italia nei prossimi giorni». Cosa può essere fatto per la sicurezza in maniera immediata ?«Come prima cosa chiediamo l’istituzione di almeno quattro punti all’interno della città, se parliamo di Milano, dove rifornirsi di guanti, mascherine e gel disinfettante e un indirizzario fornito a tutti i lavoratori con l’indirizzo di dove procurarsi i dispositivi di sicurezza, qualcuno, pagato dalle aziende, che facciano rispettare la fila fuori dai ristoranti o dai fast food, l’erogazione di gel disinfettanti fuori dalle attività commerciali». E il motivo delle file, deriva del resto, anche dalla mancanza di personale di fast food e ristoranti « Sono rimasti a lavorare solo quelli sprovvisti dalle misure di Welfare, parliamo di Co.co.co o degli irregolari: anche le cucine vanno a rilento e a pagarne il prezzo siamo tutti noi». Un meccanismo che difficilmente calza con la definizione di “servizio essenziale”. Meraviglie della decantata “Gig Economy” al tempo della pandemia.

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