Perché siamo il fanalino di coda d’Europa: i numeri che fanno paura

Si chiamano “Obiettivi sostenibili” e fanno parte di un’agenda fissata dall’ONU per tutti i Paesi membri da realizzare entro il 2030. Si tratta di obiettivi da raggiungere in campo sociale, economico ed ecologico per puntare a uno sviluppo più sano ed equilibrato del Pianeta. Gli ambiti sono diciassette e il sito Eurostat, l’Istituto per le statistiche dell’Unione Europea, ha oggi pubblicato a che punto sono i vari paesi dell’Unione. Abbiamo comparato, a questo proposito, il nostro Paese con gli altri: un quadro che lascia purtroppo sconfortati.

L’Italia è uno dei paesi più poveri d’Europa

Il 27.3% della popolazione italiana era nel 2018 a rischio povertà: peggio di noi fanno solo Paesi come Lituania, Lettonia, Grecia, Romania e Bulgaria.  Dal 2016 al 2018 la percentuale è scesa dal 30% della popolazione italiana al 27.3%,  una media ancora troppo bassa per parlare di  inversione di tendenza e che potrebbe essere assai esacerbata dagli effetti del Covid-19.

In particolare il 27.8% degli italiani vive in spazi abitativi angusti e iper-affollati, contro il 17.1% degli europei. In particolare il nostro Paese si staglia in Europa per la figura del lavoratore povero: circa il 12.2% degli occupati italiani sono a rischio povertà, una media che dal 2010 è in costante ascesa,  mentre il 14.1% degli italiani non si è potuto permettere di riscaldare la casa nel corso dell’inverno del 2018.

 

L’Italia non è un Paese per giovani, né per laureati

Essere laureati in Italia non è probabilmente un buon affare: il nostro Paese è infatti l’ultimo in Europa per impiego di giovani laureati. Nel Belpaese è impiegato infatti appena il 58.7% dei laureati che escono dagli Atenei, contro una media UE dell’80.9%. Un record negativo che vede il suo picco nel 2014, con appena il 45% dei laureati impiegati e una piccola risalita tra 2014 e 2019. Un aspetto che è uno dei fattori scatenanti della famosa “fuga di cervelli” , tema al centro del dibattito di questi anni.

Del resto l’Italia è il Paese con il più basso numero di laureati  in UE dopo la Romania (appena il 27.6% della popolazione tra 30 e 34 anni ha un diploma di laurea). Abbiamo un record invece ed è negativo: facciamo registrare tra le più alte medie di abbandoni scolastici dell’Unione.

 

Gender Gap e Energia

Le donne italiane lavorano meno che nel resto d’Europa, peggio di noi fanno solo Grecia e Malta, anche se sono mediamente più istruite dei maschi: la percentuale di inattività per tener conto della famiglia e della prole è tra le più alte d’Europa. Nel 2017 le donne impiegate inoltre, guadagnavano almeno il 5% in meno rispetto agli uomini.

E le cose non vanno meglio per quanto riguarda l’ecologia. All’avanguardia nella costruzione nel mercato delle rinnovabili, l’Italia ha consumato nel 2018 solo il 17.7% di energia proveniente da queste fonti, contro una media europea del 18.8%. Tra 2017 e 2018 si è assistito addirittura a una diminuzione di consumo di energie rinnovabili, caso più unico che raro in Europa e nel mondo. L’Italia inoltre importa il 77% dell’energia di cui ha bisogno dall’estero: una media molto alta se comparata con il resto dei Paesi europei.

Il dramma del lavoro

Nel 2019 gli inattivi erano ben il 5.6% della popolazione italiana: siamo i secondi dopo la Grecia per numero di persone che non cercano più attivamente occupazione e che sono disoccupate da oltre 12 mesi. E insieme alla Grecia abbiamo del resto il più basso numero di occupati (63.5%), mentre rimane su livelli europei il PIL pro-capite, segno di una distribuzione della ricchezza assai asimettrica. Spendiamo del resto meno di altri paesi dell’Unione in ricerca e sviluppo, una dinamica che penalizza in particolare la produttività delle nostre aziende. Una dinamica che, con l’aumento dei lavoratori poveri e la diminuzione del reddito delle fasce più povere della popolazione (costante dal 2010) fa pensare a un modello economico ormai endemicamente orientato alla minimizzazione del costo del lavoro, piuttosto che all’innovazione dei processi produttivi. Del resto il Belpaese si conferma tra i paesi più ineguali dell’intera Unione Europea: fanno peggio di noi solo Bulgaria, Romania, Lituania e Lettonia.

Biologico, aspettativa di vita, economia circolare: i segnali positivi

Tutto nero quindi? No, segnali positivi arrivano innanzitutto dall’aspettativa di vita che, nel 2018 era tra le più alte dell’intera Unione Europea: gli italiani nel 2018 hanno vissuto in media 83.4 anni, appena un mese in meno degli spagnoli, il Paese con la media più alta della Ue. Il nostro Paese si è inoltre distinto per quel che riguarda l’agricoltura biologica: il 15.7% delle aree agricole italiane sono a coltivazioni bio, tra le medie più alte dell’intera Ue. Buone notizie vengono anche dalla qualità dei nostri mari, tra i meno inquinati d’Europa e dell’economia circolare. Ricicliamo meglio e di più degli altri paesi europei e raccogliamo, in media, una quota più alta di raccolta differenziata. Piccolo segnali positivi in un quadro che, alla vigilia di una crisi annunciata, appare purtroppo non rassicurante.

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