L’Italia vende le armi per bombardare lo Yemen. E non fa nulla per fermarlo

È normale che un Paese produca e venda bombe a chi ha innescato una guerra senza approvazione internazionale, nonostante la sua legge vieti espressamente l’esportazione di armamenti a chi è in conflitto o viola i diritti umani? È normale che il governo dello stesso Paese, che potrebbe intervenire per risolvere le contraddizioni del caso, preferisca mantenere una situazione inerziale?

Ecco, a doverla riassumere in poche parole, la vicenda degli ordigni italiani venduti all’Arabia Saudita e poi utilizzati dal Regno saudita, che li utilizza per bombardare in Yemen, potrebbe essere racchiusa in queste due semplici domande. Due interrogativi che esprimono un duplice paradosso, quello legislativo, di norme nazionali che nello stesso tempo impediscono e consentono di contribuire indirettamente con la fornitura di armi a un massacro, e quello politico, di ministri che rivendicano il rispetto della legge ma non possono negare l’evidenza di bombe sganciate sulla popolazione fabbricate sul proprio territorio.

Le bombe vendute all’Arabia Saudita e utilizzate in Yemen: le inchieste di Iene e Nyt

La storia comincia nel marzo 2015 quando l’Arabia Saudita, a capo di una coalizione di Paesi, decide di condurre una guerra in Yemen contro i ribelli Houthi sciiti, un’operazione militare che in quasi tre anni ha causato una vera e propria catastrofe, con oltre 10mila morti stimati, almeno 40mila feriti, e milioni di persone sfollate o bisognose di aiuto. In questi anni alcune inchieste giornalistiche (è il caso di un servizio delle Iene in onda a febbraio 2016 e un video reportage del New York Times pubblicato a dicembre scorso) hanno diffuso foto e filmati di bombe esplose in Yemen riportanti un numero di telaio identificativo di ordigni prodotti dalla Rwm Italia, azienda con sede legale a Brescia, e hanno documentato i viaggi degli armamenti prodotti in Sardegna, nello stabilimento di Domusnovas, attraverso il porto e l’aeroporto civile di Cagliari.

 

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(Immagine da video de Le Iene)

 

La legge sugli armamenti: no alle esportazioni verso Paesi in guerra

L’esportazione è avvenuta con una normale autorizzazione secondo le leggi vigenti. In Italia l’importazione, l’esportazione e il transito degli armamenti vengono regolamentati dalla legge 185 del 1990. Secondo le norme in vigore il titolare delle autorizzazioni alle esportazioni è il Ministero degli Esteri. A rilasciarle, nello specifico, è un’autorità nazionale, l’Uama, Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento del Ministero degli Esteri. L’iter è quello seguito anche da Rwm, che viene puntualmente citata anche nella relazione annuale del governo al Parlamento sulle operazioni autorizzate. Ma la stessa legge 185 del 1990 chiarisce che le esportazioni di armamenti sono vietate verso i paesi «in conflitto armato», o «in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite», verso Paesi «la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione» o «i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani».

Le motivazioni del governo: nessuna violazione, nessuna prescrizione Onu o Ue

È questo il punto controverso. Il governo, in Parlamento e non, ha sempre risposto garantendo un pieno rispetto del diritto nazionale e internazionale. Dalla Farnesina dopo le polemiche per la recente inchiesta del Nyt hanno ribadito che l’Italia «si adegua sempre ed immediatamente a prescrizioni decise in sede Onu o Ue» e che l’«Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea». Si tratta della stessa posizione espressa dall’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ai tempi in cui era ministro degli Esteri. «La Rwm, ditta italiana facente parte di un gruppo tedesco – faceva sapere rispondendo a un’interrogazione alla Camera ad ottobre 2016 – , ha esportato in Arabia Saudita in forza di licenze rilasciate in base alla normativa vigente. L’Arabia Saudita, a differenza di Paesi come la Libia o la Siria, non è infatti oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti. […] Naturalmente ove in sede Nazioni Unite o Unione Europea fossero accertate eventuali violazioni, l’Italia si adeguerebbe immediatamente a prescrizioni o divieti». Insomma, dice il governo: senza una chiara posizione di Onu e Ue e senza embargo o altra sanzione noi possiamo continuare ad esportare.

 

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(Immagine da video del New York Times)

 

La denuncia delle ong: violati i diritti umani, crisi umanitaria

Di tutt’altro avviso sono le organizzazioni non governative che si battono per la difesa dei diritti umani. Amnesty International ad esempio, nei suoi rapporti sul Medio Oriente denuncia che in Yemen la coalizione internazionale intervenuta a sostegno del presidente Hadi «ha continuato a commettere impunemente gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme internazionali sui diritti umani», che «il blocco parziale degli spazi aerei e marittimi imposto dalla coalizione ha ridotto le importazioni di derrate alimentari e altri beni di prima necessità, aggravando la crisi umanitaria causata dal conflitto», «ha impedito i voli commerciali verso Sana’a» e che molti attacchi «sono stati lanciati in maniera indiscriminata e sproporzionata o diretti contro civili e obiettivi civili, come cortei funebri, ospedali, scuole, mercati e fabbriche». E «in alcuni casi sono state colpite infrastrutture di primaria importanza, come ponti, cisterne d’acqua e torri di telecomunicazione».

Civati, Sinistra: possibile lo stop alle vendite, anche senza Europa

«È una vicenda sorprendente dal punto di vista politico e discutibile sul piano del rispetto della legge», ha commentato a Giornalettismo Pippo Civati. Per il deputato di Possibile il governo non può in alcun modo parlare sia di rispetto delle leggi nazionali che internazionali. «Dal punto di vista politico è sorprendente che un partito di sedicente centrosinistra risponda in questo modo attraverso il presidente del Consiglio, il ministro della Difesa e il ministro degli Esteri. Dal punto di vista della legge, la 185 del 1990 è molto chiara». «Noi sappiamo che l’Arabia Saudita ha aperto un conflitto direttamente in cui ha ingaggiato forze e risorse con un paese confinante. Di questo si tratta. Se cerchiamo il cavillo entriamo in mondo pericoloso, ci disinteressiamo».

Da quando è iniziato il conflitto in Yemen le istituzioni europee non sono state a guardare. Il Parlamento Europeo dall’inizio dei bombardamenti ha votato almeno tre risoluzioni (l’ultima a settembre scorso) per chiedere un embargo per l’Arabia Saudita, tuttavia senza effetto. Perché non sono mai seguite azioni dal Consiglio Europeo. Ciò non può comunque impedire all’Italia di fare pressioni. «Se siamo convinti che si debba interrompere la fornitura di armi – dice Civati – ci battiamo anche presso il Consiglio Europeo. E se poi le vendiamo non è colpa dell’Europa. Altri Paesi hanno fermato i propri commerci con i paesi coinvolti in questo conflitto, ciò dimostra che si può fare: si perde il business ma si fa una scelta di civiltà». È il caso anche della Norvegia (che – va precisato – non fa parte dell’Unione Europea), che ha da poco annunciato lo stop alle forniture di armi agli Emirati Arabi Uniti, che pure partecipano alla coalizione che bombarda in Yemen. Il paese scandinavo ha ordinato lo stop senza avere una prova dell’utilizzo dei propri armamenti nel conflitto. «Questa – ha proseguito Civati – è una storia brutta sotto tutti i punti di vista che si trascina da tempo. Dal punto legislativo possiamo semplicemente applicare la legge in modo più rigoroso. Il governo può prendere una decisione sulla base della legge, non ha sovranità limitata. Il problema è che il governo acconsente e dice ‘andate avanti’».

Vignarca, Rete Italiana Disarmo: come con la Bonino nel 2013, soluzione possibile

«Il fatto che il governo continui ad appellarsi a mancanze di embargo e all’assenza di norme internazionali è fuorviante», ribadisce a Giornalettismo anche Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. «Qualche commentatore, consulente del ministero della Difesa, dice che quello in Yemen non è un conflitto perché non c’è una dichiarazione di guerra, che si tratta di un intervento per ripristinare il vecchio governo, che è stato destituito. Non ci interessa. Stiamo parlando di tre anni di una guerra che ha fatto 50mila tra morti e feriti, che ha fatto venire il colera, che ha portato la popolazione alla fame. Il governo continua a trincerarsi dietro riferimenti che non c’entrano niente. Dovrebbe guardare la propria legge e dire: abbiamo sbagliato». Anche Vignarca ribadisce che serve innanzitutto volontà politica, al di là delle risoluzioni approvate dal Parlamento Ue che poi non hanno seguito. «Il precedente c’è. Nel 2013 – ricorda – l’Italia, con Emma Bonino ministro degli Esteri, s’impuntò e ottenne un embargo di armi verso l’Egitto. C’erano le rivolte in piazza Tahrir e c’era tutta una serie di armi leggere che stavano andando lì. L’iniziativa di un governo può fare in modo che gli altri Stati membri dicano di sì. Se il governo ha proprio bisogno di una norma internazionale per fermare la propria vendita di armi, può essere in prima persona quello che va a chiedere agli Stati membri di fare la propria parte».

Anche qui torna l’esempio «da seguire» della Norvegia. «L’Italia dovrebbe cautelarsi di fronte all’essere corresponsabile di un massacro di civili. La Norvegia ha sospeso l’invio di armi verso gli Emirati Arabi anche se non ci sono le prove che siano state effettivamente utilizzate. Mentre noi siamo sicuri». Prima ancora a fermare l’export verso il Regno saudita erano stati i Paesi Bassi, nel 2016. Una revisione delle forniture l’avevano già fatta dall’inizio dei bombardamenti anche Svezia e Germania. L’Italia sembra seguire un trend opposto. Secondo l’ultima relazione al Parlamento il valore complessivo delle esportazioni di armamenti dell’Italia in Arabia Saudita per il 2016 è stato di 427,5 milioni di euro, il 66,3% in più rispetto ai 257 milioni del 2015 e più del doppio rispetto ai 163 milioni del 2014 (296 milioni nel 2013).

(Foto di copertina della guerra in Yemen da archivio Ansa. Credit: Hani Ali / Xinhua via ZUMA Wire)

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