Il New York Times svela al mondo gli «Isis files»
05/04/2018 di Gianmichele Laino
Hanno cercato nei cassetti delle loro scrivanie, negli scaffali delle loro stazioni di sicurezza, nei loro tribunali, negli armadietti dei campi di addestramento, nelle loro case. Il New York Times, nel corso di cinque viaggi in Iraq, ha portato alla luce gli Isis files, oltre 15mila documenti segreti che documentano l’attività del sedicente Stato Islamico dal 2014, fino alla caduta del Califfato.
LEGGI ANCHE > Un terzo delle armi dell’Isis sono state prodotte dall’Unione Europea
COSA SONO GLI ISIS FILES
Gli Isis files sono una raccolta di tutto ciò che descrive anni di terrore. Sono i diari dei miliziani, i loro ordini di cattura nei confronti di ragazzini di soli 14 anni, semplicemente perché si sono fatti scappare un sorriso durante il momento della preghiera. Incarcerati e torturati: gli ordini esecutivi sono scritti nero su bianco, in arabo, su bloc-notes ma anche su semplici fogli di carta. La maggior parte delle volte si tratta di documenti manoscritti.
Decifrarli e verificarli è costato 15 mesi di lavoro ai giornalisti della illustre testata statunitense. Il risultato di questa operazione è di grande natura documentale: una serie di fonti che potranno arricchire i libri di storia per i prossimi dieci anni. E che sveleranno ai posteri una verità inquietante: per un breve periodo di tempo, i terroristi hanno effettivamente realizzato il proprio sogno di realizzare un Califfato. Il «sedicente» Stato Islamico, sebbene non riconosciuto da nessuna organizzazione internazionale, né da alcuna nazione, nei fatti funzionava.
COSA CONTENGONO GLI ISIS FILES
Funzionava perché i miliziani, alla fine, facevano lavorare le persone che risiedevano in quel territorio esattamente come prima del loro avvento. Funzionava perché prevedeva anche delle azioni spicciole, quotidiane, come il trasferimento di persone in un’area vicina, lo smistamento di una tonnellata di grano, la multa per un abito non adatto. Una teocrazia che l’Isis – lo testimoniano, appunto, gli Isis files – aveva messo in piedi e mandava avanti. Brutalità e burocrazia, insomma.
Negli Isis files compaiono scorci di quello che era un meccanismo efficace, che prevedeva la raccolta della spazzatura, che gestiva un ufficio matrimoniale, che supervisionava gli uffici sanitari per permettere alle coppie di avere figli, che rilasciava certificati di nascita in carta intestata. Mentre in occidente passava il messaggio di un territorio avvolto nelle spire del terrore, in Iraq la gente continuava a vivere nell’apparenza della normalità. Solo sotto un califfato non riconosciuto da nessuno e con una limitazione della libertà che, in molti casi, poteva essere fatale ai suoi cittadini.
GLI ISIS FILES MOSTRANO L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA DEL CALIFFATO
A volte, le testimonianze dei cittadini raccontavano di un apparato statale che funzionava addirittura meglio del passato, sotto governi regolarmente riconosciuti dalla comunità internazionale. Il New York Times lo scrive senza alcuna intenzione di essere fazioso: mettendo semplicemente in fila le fonti giornalistiche.
I registri, i libri delle ricevute e i bilanci mensili hanno descritto come i militanti sono arrivati a monetizzare ogni centimetro di territorio conquistato, tassando ogni mucchio di grano, ogni litro di latte di pecora e ogni anguria venduta nei mercati che controllavano. Dalla sola agricoltura hanno raccolto centinaia di milioni di dollari. Contrariamente alla percezione popolare, i terroristi del Califfato si sono autofinanziati. E, soprattutto, i principali ricavi dello Stato Islamico derivavano dall’agricoltura e non dal petrolio. Almeno questo ci dicono gli Isis files. Che dimostrerebbero un’altra faccia della medaglia rispetto alla comune narrazione del Califfato.