L’interpretazione dello IAP su decreto influencer e pubblicità online
Abbiamo contattato l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria per avere un loro parere sul cosiddetto "decreto influencer"
13/03/2023 di Redazione Giornalettismo
Quanto e in che modo il decreto influencer sarà efficace? Così come recepito tramite la Direttiva UE 2019/2161, il nuovo regolamento – che è in attesa di essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – dovrebbe obbligare gli influencer a fare pubblicità in maniera più trasparente, imponendo una sanzione pecuniaria più alta rispetto ad ora per coloro che non rispettano le regole. Provando a capire la natura di questo cambiamento e se, effettivamente, si tratterà di un provvedimento efficace abbiamo consultato lo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) per raccogliere un loro parere, considerato che si tratta dell’ente che punta a regolamentare la pubblicità e a garantire i diritti del consumatore (tra i numerosi soci sostenitori troviamo nomi celebri come TBS CREW S.R.L., agenzia di Chiara Ferragni, e THE ONE CELEBRITY; tra quelli ordinari compaiono Mediaset, Sky, Google, Fieg, Rai).
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Il parere dello IAP sul decreto influencer
Abbiamo provveduto a contattare lo IAP che ci ha risposto come segue, fornendo un’interpretazione del testo normativo diversa da quella che stiamo dando noi di Giornalettismo in questo nostro monografico: «Ci risulta – ci ha scritto lo IAP in una mail – che in nessuna parte del testo in discussione si faccia riferimento al tema della pubblicità nascosta degli influencer». Il riferimento dello IAP è alla mancata citazione della parola “influencer” nella Direttiva UE 2019/2161 che va a modificare il Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (il cosiddetto “Codice del consumo”).
«Ci sembra che le domande inviate partano da una diversa interpretazione del testo normativo e di conseguenza ci ritroveremmo a discutere di temi che non sembrano essere all’ordine del giorno», ha concluso lo IAP spiegandoci la sua pozione. Le ragioni per le quali noi di Giornalettismo stiamo dando una diversa interpretazione risiedono proprio nella connotazione che nel Codice del consumo viene data alla parola “professionista”.
Lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2019/2161, che va a modificare il Codice del consumo, in alcune sue parti chiarisce la connotazione che viene data a quel “professionista”: la connotazione del Codice di consumo – che è il contesto iniziale su cui la direttiva UE recepita va ad agire – deve necessariamente essere traslata anche al “professionista” di cui si parla nello schema di attuazione. Ecco un paio di punti:
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3. All’articolo 18, comma 1, del citato decreto legislativo n. 206 del 2005, sono apportate le seguenti modificazioni:a) la lettera c) è sostituita dalla seguente: «c) “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i servizi digitali e il contenuto digitale, nonché i diritti e gli obblighi;»;b) dopo la lettera n), sono aggiunte, in fine, le seguenti:«n-bis) “classificazione”: rilevanza relativa attribuita ai prodotti, come illustrato, organizzato o comunicato dal professionista, a prescindere dai mezzi tecnologici usati per tale presentazione, organizzazione o comunicazione; n-ter) “mercato online”: un servizio che utilizza un software, compresi siti web, parte di siti web o un’applicazione, gestito da o per conto del professionista, che permette ai consumatori di concludere contratti a distanza con altri professionisti o consumatori.»
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5. All’articolo 22 del citato decreto legislativo n. 206 del 2005, sono apportate le seguenti modificazioni: 4 a) al comma 4, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale;»; b) al comma 4, dopo la lettera e) è aggiunta, in fine, la seguente: «e-bis) per i prodotti offerti su mercati online, se il terzo che offre i prodotti è un professionista o meno, sulla base della dichiarazione del terzo stesso al fornitore del mercato online.»
Facciamo un esempio pratico di quella che può essere considerata “pubblicità ingannevole“, termine ombrello che comprende anche il concetto di pubblicità nascosta (o occulta). Se tale influencer – che risulta essere un professionista di settore dell’influencer marketing – afferma che con un suo sconto un prodotto passa da 50 euro a 30 euro di costo ma (andando a verificare sul sito) il prezzo originale è di 40 euro, ci troveremo a quel punto di fronte a uno spot pubblicitario fatto via social che risulta essere ingannevole.
Tutto considerato, l’assenza del termine “influencer” nella ricezione della direttiva Ue non deve necessariamente coincidere con l’assenza di riferimenti nella normativa che verrà e che conosceremo solo dal momento in cui verrà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.