Michelangelo Coltelli (Butac): «Di questo anno, salvo gli insegnanti che si sono avvicinati al fact-checking»

Il bilancio del suo progetto, dopo un anno di disordine informativo sul coronavirus

02/04/2021 di Redazione

L’International Fact Checking Day del 2 aprile è, chiaramente, una data simbolica. Ma cade in un periodo dell’anno che ci permette di fare un bilancio sugli ultimi dodici mesi di informazione in uno dei momenti storici più complessi degli ultimi cento anni. Per questo abbiamo deciso di confrontarci con chi, in prima linea, sta cercando di mettere ordine nel marasma dell’informazione scorretta, il malessere che è andato di pari passo con la diffusione dell’epidemia di coronavirus. Michelangelo Coltelli di Butac è una delle voci più autorevoli nel panorama del debunking italiano. È stato molto importante misurare la temperatura allo stato della nostra informazione, soprattutto quella degli ultimi tempi.

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International Fact Checking Day, la parola a Butac

«Il progetto Butac ha faticato perché è stato un anno in cui abbiamo trattato esclusivamente un argomento, diventando “esperti”, pur non essendo degli scienziati – ha detto Michelangelo Coltelli a Giornalettismo -. Anche nelle ultime ore, ad esempio, stanno uscendo articoli di disinformazione che, però, sono di quelli che “non mentono”: alcuni informazioni, alcuni dialoghi vengono sfruttati in modo tale da veicolare messaggi diversi dalle intenzioni originarie. Io apro la dashboard dell’Oms da un anno e vedo delle incoerenze con quello che riportano alcuni giornali (penso alle notizie sull’India uscita dalla pandemia, mentre invece si stava apprestando a entrare in una nuova ondata): spesso basta seguire le notizie con attenzione per evitare scivoloni di questo genere. Purtroppo oggi non c’è tanta attenzione alla notizia in sé, ma a quanti lettori porterà quella notizia».

Un vero e proprio monito al mondo del giornalismo. Spesso – e lo diciamo con una certa dose di autocritica – è proprio lì che si annidano i problemi principali nella diffusione di informazioni scorrette. E questo, a volte, crea dei contrasti che – nel migliore dei mondi possibili – non dovrebbero affatto esistere.

«Io ho provato ad avere un approccio molto razionale e quasi medico – spiega Michelangelo Coltelli -. Ho cercato di non essere troppo preso per non polarizzare il mio lettore, proprio per evitare lo stesso rischio che stavano correndo le testate giornalistiche. Purtroppo, dopo un po’, questo approccio si perde perché viene meno la pazienza. In ogni caso, nonostante l’approccio razionale, ho ricevuto – non più tardi di due settimane fa – una lettera minatoria, con minacce di richieste di risarcimento, da parte di un noto gruppo editoriale per un articolo in cui io cercavo di spiegare la notizia sulla base di fonti scientifiche come l’Oms, l’Aifa, l’Istituto Superiore di Sanità e loro, in risposta, citavano articoli del loro stesso gruppo editoriale per dimostrare di avere ragione sulla notizia che io avevo cercato di contestualizzare. Per me, le fonti – quando si parla di medicina – sono Oms, ISS, Aifa. Per loro, le fonti sono loro stessi. E non capiscono l’errore».

A un certo punto, anzi, durante questo periodo, il debunker sembrava essere diventato il nemico contro cui puntare il dito. Michelangelo Coltelli ha una spiegazione: «Il debunker nove volte su dieci non è un giornalista, ma fa le pulci al giornalista. E questo ai giornalisti non piace, ritengono che questo tipo di critica non vada fatto. Ci sono anche altri miei colleghi che fanno il mio stesso lavoro e hanno ricevuto lo stesso tipo di attacchi e denunce: alcuni di loro hanno deciso addirittura di lasciar perdere, perché spaventati da questo tipo di minaccia. Il giochino della minaccia quando abbiamo avuto il coraggio di sbufalare diverse notizie capita spesso, a me quest’anno è arrivato quasi sempre dallo stesso gruppo di testate giornalistiche».

Il momento più difficile in questo anno d’informazione secondo Butac

Come si può agevolmente comprendere, insomma, è stato un anno piuttosto difficile e complesso. Eppure, non c’è mai limite al peggio. Ci sono stati momenti che hanno richiesto uno sforzo maggiore da parte di chi ha cercato di riportare l’informazione a un livello accettabile: «Sicuramente il momento in cui c’è stato bisogno di uno sforzo supplementare – dice Michelangelo Coltelli – è stato quello della scena un po’ vergognosa di tre soggetti vestiti con un camice (uno medico, uno laureato in biologia e un altro che non era né l’uno e né l’altro) che hanno fatto un tampone a un kiwi. È una scena che abbiamo visto in rete, ma che abbiamo visto anche purtroppo in televisione perché sono stati invitati a ripetere la stessa azione. Una scena che è stata poi ripresa da tutti quelli che spingono per le terapie domiciliari contro il Covid. Terapie domiciliari più tampone al kiwi sono state le due cose per me più clamorose. Io sono d’accordo nel curare a casa i pazienti Covid non gravi e non è diverso da quello che dicono Oms, ISS e Ministero della Salute da marzo dell’anno scorso. Ci sono soggetti che invece vogliono far intendere che le cose siano andate in maniera diversa e che le istituzioni abbiano espresso protocolli sbagliati, contribuendo a far aumentare il numero dei morti. I soggetti del tampone al kiwi e delle terapie domiciliari si stanno facendo una fama su questo tema. Ogni volta che ne parlo, mi ritrovo in mezzo allo shitstorm: quest’anno, le minacce di morte che ho ricevuto sono state dieci volte di più rispetto a quelle ricevute di solito e non me l’aspettavo».

Eppure, sono arrivati messaggi di speranza, nonostante le difficoltà: «Butac, ad esempio, in quest’ultimo periodo sta meglio. Negli ultimi quattro mesi non subiamo più attacchi hacker, mentre in passato questa era una costante che si verificava almeno una-due volte all’anno e che ci portava ad andare off-line. Il sito è stato completamente rivisto e riposizionato e questo ci ha permesso di farci sentire più protetti e tutelati».

Senza contare, poi, quei messaggi di speranza che si intravedono in giornate emblematiche come questo International Fact Checking Day: «Quest’anno ho visto tantissimi insegnanti che si sono avvicinati al fact-checking – conclude Michelangelo Coltelli, che questa sera (tra le altre cose) sarà impegnato sui canali social della giornalista Charlotte Matteini per parlare dello stato del disordine informativo in questo anno di pandemia -. Io mi sono ritrovato ad avere, quasi in ogni settimana, almeno una lezione in una classe di liceo o di scuola media. I ragazzi si stanno rendendo conto di quello che sta succedendo, di quanto spesso i loro genitori siano parte del circuito della disinformazione e di quanto questa cosa pesi sul loro futuro. Questo mi ha fatto piacere: ho visto insegnanti che hanno capito il problema e che vogliono aiutarci a risolverlo. Certo, bisognerebbe avere anche una classe di giornalisti che devono capire che non si può più mirare alla notizia che fa più lettori, ma a quella più corretta per fare un servizio alla comunità. Purtroppo anche il governo sembra non averlo colto, avendo perso l’occasione della commissione contro le fake news, con le dimissioni di suoi componenti illustri. Dobbiamo essere più collaborativi, altrimenti, dal problema dell’informazione disorder, saremo destinati a uscirne nell’anno del mai e nell’epoca del poi».

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