Le Big Tech dicono no ai dipendenti e sì all’Intelligenza Artificiale

Categorie: Attualità

La tendenza è sempre più evidente: dopo le grandi assunzioni, sono arrivati i grandi licenziamenti. Ma le stesse aziende continuano a investire (miliardi) su progetti di AI

Dove andremo a finire? Lo scenario futuro e futuribile non è apocalittico, ma il rischio di innescare una nefasta correlazione tra le innovazioni dell’intelligenza artificiale e i licenziamenti è tangibile fin da ora. La fine del 2022 e l’inizio del 2023 hanno segnato il passo. Dopo un periodo che sembrava essere florido e fecondo – cercando di non arrendersi agli effetti economico-finanziari della pandemia – le più grandi aziende che fanno parte del cosiddetto universo Big Tech hanno deciso di tagliare. I ricavi, in molti casi, sono stati inferiori rispetto alle aspettative, ma questo non è l’unico “problema” cavalcato da queste società per giustificare le loro scelte sul taglio dei dipendenti. Perché se da una parte sono arrivati gli annunci (alcuni già diventati effettivi) di licenziamenti di massa, dall’altra c’è stata una nuova crescita negli investimenti nelle nuove tecnologie. E proprio questo tassello rischia di innescare (se già non l’ha fatto) un effetto domino sul mondo del lavoro.



LEGGI ANCHE > L’Unione Europea sta provando a regolamentare il rapporto tra AI e forza lavoro?

I dati sono emblematici: Meta (la società proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp) ridurrà di 11mila unità la sua forza lavoro; Google ha parlato di circa 12mila tagli in arrivo nel corso dei prossimi mesi; Microsoft ha già comunicato i prossimi 10mila licenziamenti nel 2023; Amazon ha utilizzato la mannaia, tagliando circa 18mila posti di lavoro. Poi ci sono anche le aziende più piccole che hanno proceduto con la riduzione del proprio personale (da Netflix a Spotify). Migliaia di posti di lavoro svaniti nel nulla, dietro l’esigenza – dichiarata come fosse una sorta di comunicato stampa congiunto – di «procedere a una riduzione dei costi interni».



Intelligenza artificiale e licenziamenti, dove andremo a finire?

Tagli, tagli ovunque. Per una riduzione della spesa in vista dei prospetti che indicano un calo dei ricavi per tutte queste realtà. Attenzione però: questo non vuol dire che le Big Tech stiano diventando povere o che non siano più in grado di sostenere i costi per il personale. Perché gli obiettivi si sono spostati – sacrificando sull’altare dell’investimento il lavoratore – sui nuovi modelli di sviluppo tecnologico. Ovvero l’intelligenza artificiale. L’ultimo grande annuncio è arrivato da Mountain View, casa di Microsoft: dopo aver investito – già in passato – centinaia di milioni di dollari in OpenAI, l’azienda fondata da Bill Gates ha rinnovato il suo impegno economico nell’azienda che ha realizzato ChatGPT mettendo sul tavolo ben 10 miliardi di dollari. E Microsoft è la stessa società che, per «procedere a una riduzione di costi interni» (chiamiamola razionalizzazione dei costi) ha annunciato 10mila licenziamenti per il 2023.

Soldi chiamano soldi. È ovvio. È uno dei mantra di chi investe e ha un’azienda. E così anche gli imprenditori sono legittimati a effettuare delle scelte strategiche per la propria creatura. E l’intelligenza artificiale è talmente vicina al poter essere estesa a una cospicua parte di lavori che i riflessi sull’occupazione non possono che essere evidenti. E tremendamente tangibili. Perché Facebook stessa decise, nell’ottobre del 2021, di annunciare al mondo la sua decisione di puntare tutto sull’AI attraverso lo sviluppo del cosiddetto metaverso e degli strumenti per accedere a questo universo parallelo e completamente digitale. Non a caso, contestualmente a questa uscita pubblica venne indicato il nuovo nome dell’azienda: Meta. E a Menlo Park, mentre la società madre investiva svariati miliardi di dollari sui progetti di AI, venivano annunciato migliaia di licenziamenti a livello globale.



L’empatIA

Due esempi che danno lo spazio a una riflessione sul mondo del lavoro che verrà. Appare ovvio e fin troppo evidente che le aziende siano create per fatturare. Una riduzione di costi interni è legittima, soprattutto se si parla di obiettivi economico-finanziari non raggiunti. E sull’altra sponda del fiume, ecco che l’inconsapevole AI aspetta il passaggio del cadavere della forza lavoro umana. È lì, sviluppata dall’uomo come un elemento strutturale (ma di supporto) e diventata uno dei grandi ostacoli non solo all’accesso al mondo del lavoro, ma anche alla sussistenza nel mondo del lavoro. Perché il rapporto tra intelligenza artificiale e licenziamenti non sembrava essere così svilente per la natura umana. Occorrerebbe mettere un freno, ma nessuna istituzione (né l’Europa, né gli Stati Uniti) hanno legiferato in quella direzione. Hanno parlato – con norme ancora non approvate – di regolamentazioni sugli abusi, ma non di come evitare che le aziende procedano con il più oscuro dei vaticini: le macchine al posto dell’uomo. Senza empatia, senza replica e controreplica. Tutto freddo, senza empatia. E senza lavoro.