Genesi e critiche all’iniziativa social #White4AfghanWomen

L'iniziativa #White4AfghanWomen nasce come opera di solidarietà ma, andando ad analizzarla, ci sono diverse discordanze rispetto al reale

31/08/2021 di Ilaria Roncone

Partiamo dall’inizio. White4AfghanWomen è una campagna dell’associazione Wall of Dolls Onlus che è stata organizzata per la giornata di domenica 22 agosto. Uomini e donne sono stai invitati a pubblicare sui proprio account social fotografie indossando qualsiasi tipo di indumento bianco per esprimere vicinanza a donne e bambini afghani.

 

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Sono stati in molti ad aderire all’iniziativa White4AfghanWomen nel mondo dello spettacolo, da Alessandra Amoroso a Jo Squillo, da Maria Grazie Cucinotta a Paolo Ruffini, da Giusy Versace a Valeria Marini. Nel comunicato stampa Wall of Dolls si legge che lo scopo dell’iniziativa è quello di mostrare solidarietà alle donne «non potranno più avere un’istruzione, non potranno più lavorare, e dovranno stare chiuse in casa a subire violenze di ogni genere da uomini che non hanno scelto di sposare, bambine obbligate a fare sesso con uomini anziani con la barba lunga e il mitra in mano».

 

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Le critiche alla campagna White4AfghanWomen

Nei giorni successivi i social si sono riempiti di critiche anche aspre in merito alla faccenda.

La critica che va per la maggiore, in sostanza, è quella a persone ricche che tutto ciò che fanno è indossare costosi abiti bianchi dopo le vacanze al mare e mettersi in posa per scattare una bella fotografia utilizzando poi quell’hashtag.

A cosa serve realmente una campagna di sensibilizzazione come questa?

Ci sono state una serie di riflessioni in merito alla questione e parecchi attivisti online – compresi Iacopo Melio, che è anche giornalista e scrittore, e Benedetta Lo Zito, che ha fondato un’associazione benefica contro la cultura dello stupro – hanno detto la loro. Se un gesto come inginocchiarsi per il BLM – pur non cambiando le cose nel mondo – ha un senso e un significato a livello di solidarietà che è palese agli occhi di tutti, indossare un costoso vestito bianco e mettersi in posa risulta essere di cattivo gusto.

La riflessione di Benedetta Lo Zito, in particolare, si concentra su quello spazio che – ancora una volta – viene occupato dalle donne occidentali bianche e ricche e che non spetterebbe a loro (almeno non in questi termini). Così accade che «le donne afghane perdono ogni connotazione e/o possibilità di autodeterminazione – si legge nelle storie che l’attivista ha dedicato alla questione – e tutto quello che vediamo sui social sono donne ricche e bianche con costosissimi vestiti bianchi prendere l’ennesimo spazio che non gli appartiene».

Se una donna afghana dovesse trovarsi a guardare i contenuti legati a quell’hashtag si troverà davanti donne e uomini occidentali che vestono costosi abiti per sostenerle e questo, agli occhi di chi ci riflette un attimo, risulta parecchio dissonante. Giusto un «lanciare messaggi di colonialismo orrendo», alla fine dei conti, come scrive Lo Zito.

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