Il peso dei militari dietro l’imprigionamento dell’ex presidente Lula
05/04/2018 di Matteo Garavoglia
La Corte suprema del Brasile ha rigettato l’appello dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva di rimanere in stato di libertà durante il processo che lo vede coinvolto in un caso di corruzione, dove rischia una condanna fino a 12 anni.
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La carriera politica di uno dei simboli della politica brasiliana degli ultimi 20 anni (il suo mandato è durato dal 2003 al 2010) termina qui e potrebbe finire in carcere già nel corso della prossima settimana.
Dietro alla scelta di non concedere la “grazia” ci sono i militari, anche se viene negato ufficialmente ogni tipo di collegamento. L’esercito ha guidato il Paese dal 1964 al 1985 ed è ancora una componente importante nelle dinamiche politiche di Brasilia.
Lula lasciò la presidenza nel 2010 con un tasso di gradimento dell’80%. Alla luce degli eventi di giovedì 5 aprile, questo dato rappresenta la profonda spaccatura che potrebbe interessare il Brasile nei prossimi anni, anche perché lo stesso politico aveva manifestato la sua volontà di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali ed era dato tra i favoriti.
Il partito dei lavoratori (Pt), a cui appartiene l’ex presidente e riferimento della sinistra nazionale (e mondiale), ha tuttavia subito un processo mediatico importante riguardo numerose accuse di corruzione che hanno coinvolto la compagnia petrolifera nazionale Petrobas.
Un sistema articolato di pressioni che è scoppiato prima delle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016 e che ha portato alla caduta del delfino di Lula, Dilma Rousseff, e all’arrivo al potere di Michel Temer, appartanente all’area dei conservatori e vicino alle posizoni dell’esercito.
Il Brasile vive un momento delicato. Nella notte tra il 14 e il 15 marzo scorso, infatti, è stata uccisa Marielle Franco, attivista per i diritti umani e consigliera comunale del comune di Rio, segno evidente di un clima torbido che sta circondando il Paese.
(Foto credits: Ansa/Zumapress)