Grano duro italiano vs grano duro straniero: i luoghi comuni da sfatare

Quali sono le principali differenze che spingono le aziende a investire su una tipologia di grano rispetto a un’altra

13/09/2022 di Redazione

Essere un consumatore aggiornato significa senza dubbio avere a disposizione degli strumenti utili per potersi orientare tra gli scaffali dei supermercati. Non basta seguire programmi di cucina o cavalcare l’onda delle ultime polemiche sui social network per ritenersi sufficientemente attenti o in grado di sostenere discussioni e teorie sulla qualità degli alimenti. Nell’ultimo periodo è sorta una querelle sulle varie tipologie di paste che contraddistinguono la tradizione alimentare del nostro Paese. I cosiddetti consumatori informati, infatti, lanciano spesso crociate a favore del grano italiano, demonizzando – al contrario – quei brand, anche storici, che si avvalgono in produzione di grani stranieri. Una delle prime fake news da sfatare in merito è che non esiste una dicotomia tra grano italiano e grano straniero. Esistono soltanto buoni (e meno buoni) grani italiani e buoni (e meno buoni) grani stranieri. Inoltre, è importante insistere anche su quest’altro luogo comune: molto probabilmente, senza grano straniero, in Italia non ci sarebbe pasta sufficiente per tutti i consumatori interni, men che meno per l’export. Ma procediamo con ordine.

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Grano italiano e grano straniero, il vecchio luogo comune

I grandi marchi di pasta, quelli storici, quelli che hanno segnato la storia del nostro Paese, cercano sempre il maggiore equilibrio sostenibile tra l’impiego di grani italiani e l’impiego di grani esteri. Pasta Divella, ad esempio, ci fa sapere quanto sia importante, anche a livello imprenditoriale, essere rigidi e severi nella scelta dei fornitori stranieri. «L’Italia – spiegano da Pasta Divella – è dotata di un sistema di controllo sanitario tra i migliori al mondo, con presidio continuo sia dei porti, sia dello scaffale. La nostra azienda, distribuita in 130 Paesi, viene sottoposta continuamente a controlli di routine (centinaia di prelievi da scaffale oltre a audit aziendali) che hanno un esito sempre impeccabile per il nostro prodotto. Per noi la qualità e la sicurezza di prodotto sono entrambi valori imprescindibili, che si mantengono soltanto se l’azienda lavora con gli stessi standard nel tempo. Per noi, produttori unicamente a marchio Divella, questo significa lavorare su grandi volumi, senza cambiare ricette o confezioni, abbattendo i costi e potendo così offrire un prodotto eccellente ad un prezzo conveniente».

La storicità di un marchio dipende da altri fattori che non siano l’italianità della materia prima. In un mercato molto complesso – e soprattutto dalla disponibilità limitata della materia prima stessa come può essere quello del grano -, chi produce da sempre e chi funge da ambassador della tradizione enogastronomica italiana nel mondo, infatti, ritiene che puntare su grani stranieri non significhi abbassare la qualità del prodotto, anzi. «Mantenere la qualità costante nel tempo – spiegano da Pasta Divella – significa cercare i migliori grani in tutto il mondo».

Le etichette e l’attenzione del consumatore a questo aspetto

Nonostante il gran parlare che si fa del controllo dei prodotti acquistabili nei supermercati, un altro luogo comune da sfatare, probabilmente, è quello della dipendenza del consumatore finale dall’etichettatura del prodotto stesso. Sebbene l’etichetta sia sempre trasparente, sia sempre in linea con le aspettative e soprattutto con il regolamento europeo 1169/2011 sulla fornitura delle informazioni sugli alimenti ai consumatori, un report della Commissione Europea del 2015 mette in luce un aspetto molto importante nel comportamento del consumatore. Il suo interesse per l’etichettatura di origine alimenti non trasformati, prodotti con un solo ingrediente o ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento è sicuramente rilevante, ma è inferiore – ad esempio – per quello destinato a categorie alimentari come carne, prodotti a base di carne o latticini. Inoltre, da questo documento emerge che lo stesso interesse nei confronti dell’etichettatura – come mette in evidenza anche Unione Italiana Food – è inferiore a quello per altri fattori, come la data di scadenza, il prezzo, il gusto, la comodità di una confezione o l’aspetto della stessa. 

I marchi storici italiani, dunque, si pongono esattamente in questa direzione: venire incontro alle esigenze dei consumatori, assicurare la qualità del prodotto migliore possibile – in una determinata fase storica -, senza cedere il passo ai luoghi comuni che rischiano pesantemente di alterare la percezione del mercato. Soprattutto per il grano, soprattutto in tempi complessi, dal punto di vista geopolitico, come quelli che stiamo attraversando.

FOTO IPP/MIPA – MILANO

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