Google inizia a rinunciare i cookies: ma l’alternativa rischia di essere «l’errore peggiore del web»

Google non smetterà di guardarci, anzi

04/03/2021 di Gianmichele Laino

Google avrà anche sviluppato una sorta di inappetenza nei confronti dei cookies, ma di sicuro non smetterà di nutrirsi in altro modo. Questo nonostante il post sul blog ufficiale di Mountain View scritto da David Temkin, direttore della gestione dei prodotti per privacy e trust degli annunci di Google, in cui si annuncia che il motore di ricerca rinuncerà, nel futuro prossimo, alla profilazione dell’utente a partire dai cookies: insomma, le navigazioni di ciascuno di noi – preso singolarmente – non saranno più utilizzate, in prospettiva, da Google per inviare messaggi pubblicitari tarati sulla user experience. Una novità, indubbiamente, su Google e i cookies: ma dove sta il trucco?

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Google e i cookies, cosa cambia

Partiamo dalla dichiarazione di Temkin: «Non crediamo – dice – che la profilazione dell’utente in base alla navigazione soddisferà le crescenti aspettative dei consumatori in materia di privacy, né resisterà alle restrizioni normative in rapida evoluzione, e quindi non sono un investimento sostenibile a lungo termine». Google ha sentito che l’aria è cambiata. Nel mondo si sta ponendo sempre di più il problema della privacy, c’è una maggiore attenzione ai dati personali. Fino a questo momento – per tutto il decennio 2010-2020 (ma anche un po’ prima) – Google ha giocato sul grande equivoco del dato personale, dando l’illusione alle persone di offrire servizi gratuiti. In realtà, l’utilizzo dei nostri dati personali rappresentava la più grande moneta di scambio che un modello di business del genere potesse ottenere.

La maggiore consapevolezza ha fatto il paio anche con una legislazione più attenta al problema: e se fino a questo momento si è giocato un po’ al gatto con il topo, portando avanti scaramucce più che battaglie, adesso le istituzioni di tutto il mondo iniziano a fare sul serio. Indubbiamente, quanto accaduto in Australia – sul fronte editoriale, ovviamente, diverso dal mercato “individuale” della pubblicità – ha dato una scossa alle grandi compagnie del web. Visto che queste ultime hanno sempre giocato d’anticipo, le parole di Temkin ci stanno facendo capire in che direzione il vento soffierà nei prossimi mesi.

Temkin è convinto che, quando Google smetterà di utilizzare il sistema dei cookies, ci saranno altre piattaforme che garantiranno una profilazione più dettagliata dell’utente, offrendo servizi pubblicitari più precisi. Ma Mountain View si sta convincendo che questo modello non reggerà più di tanto. E quindi sta pensando a strade alternative.

E qui veniamo al trucco. Smetterla con i cookies non significa rinunciare a profilare l’utente. Semplicemente, questa operazione verrà eseguita in maniera diversa. Non sarà più il singolo internauta ad essere tracciato, ma lo sarà in quanto parte di una comunità. Non una profilazione individuale, ma collettiva, basata sugli interessi di un gruppo di riferimento. Secondo Temkin questo sistema di aggregazione sarà molto più sicuro dal punto di vista della privacy, offrendo allo stesso modo garanzie a chi acquisterà degli spazi pubblicitari.

Uno di questi sistemi si chiama Federated Learning of Cohorts (FLoC) e consente di indirizzare gli annunci a grandi gruppi di utenti in base a interessi comuni: i test partiranno, a quanto pare, nel secondo trimestre del 2021. Versioni beta che, nel frattempo, si affiancheranno al già esistente e che, se funzioneranno, saranno destinati a mandare in pensione i cookies.

Ma siamo sicuri che i FLoC siano meglio dei cookies?

Google, chiaramente, presenta i FLoC come una vera e propria bandiera per la tutela della privacy. Ma di questo, tuttavia, non è convinta Electronic Frontier Foundation, la non profit di avvocati e legali rivolta alla tutela dei diritti digitali e della libertà di parola nel contesto dell’odierna era digitale. In un eloquente post sul proprio spazio informativo, l’organizzazione ha definito questo nuovo sistema di tracciamento dell’utente da parte di Google come «una terribile idea».

Le principali problematiche che il gruppo di avvocati individua in questo sistema sono rappresentate dal fatto che una catalogazione degli utenti in base a categorie di appartenenza può risultare discriminatorio e predatorio. Addirittura, questa nuova prospettiva di Google viene definita “il più grande errore del web“: sarebbe come una sorta di confessione (anonima) che l’utente fa al motore di ricerca, chiedendogli – successivamente – di comportarsi di conseguenza dal punto di vista del tracciamento pubblicitario, mescolandolo insieme ad altri utenti e dandogli così soltanto l’illusione di una maggiore attenzione alla privacy.

Perché, di fatto, i FLoC funzionano così: il browser di ogni utente condividerà un ID di gruppo, che indica a quale categoria l’utente stesso appartiene, con i relativi siti web di riferimento e gli inserzionisti a essi collegati. Secondo la proposta, i gruppi di ID dovrebbero essere formati da un migliaio di utenti. Un sistema del genere pone gli interrogativi sulla gestione del fingerprinting di ciascun utente e, soprattutto, della facile identificazione da parte dei siti web del gruppo di riferimento a partire dall’ID di ciascuno. L’operazione “miglioramento della privacy”, dunque, sembra esclusivamente una soluzione di facciata.

Foto IPP/imago

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